(Svart Records) A due anni dall’album omonimo, tornano con il quinto lavoro i New Yorkesi Sabbath Assembly. Sempre strani, sempre eterei e sempre ricchi di spiritualità, si allineano alle sonorità proprio del precedente lavoro (avevano avuto una parentesi ambient con “Quaternity” del 2014), ovvero una specie di stoner ma con varie divagazioni che definirei in qualche modo folk… e comunque di palese tendenza doom, per i temi trattati e le atmosfere instaurate. I riti di passaggio, non sono quelli tradizionali (le varie fasi della vita secondo Arnold van Gennep) ma piuttosto i vari capitoli della vita dei membri della band, della singer Jamie Myers: le varie esperienze della vita che lasciano il segno, fanno cambiare percorso, passando per la perdita della religione o la fine di una relazione (contrariamente al pensiero di van Gennep, dove uno dei riti è proprio l’iniziazione religiosa, ed un altro è il matrimonio). La voce di Jamie è cresciuta e in certi brani mi ricorda la singer dei Luciferian Light Orchestra… con canzoni che, tra l’altro, toccano quelle sonorità settantiane riviste dai colleghi svedesi (“Shadow Revenge” è un esempio perfetto di questa similitudine). Molto doomy e molto introspettiva “Angels Trumpets”. Eterea e rituale “Does Live Die”, brano enigmatico a partire dal titolo. Ipnotica “Twilight of God”, grintosa “Seven Sermons to the Dead” prima di un altro brano con influenze settantiane, ovvero la conclusiva “The Bride of Darkness”. Un rock potente, palesemente influenzato da sonorità metal. Un rock occulto, strano, etereo e stranamente distaccato dal mondo carnale, pur descrivendone le evoluzioni e le deviazioni.
(Luca Zakk) Voto: 7,5/10