(autoproduzione) Parliamoci chiaro: il blues non fa parte dei miei ascolti abituali, nonostante io nutra una sorta di amore per quel genere, forse dovuto al mio irrisorio passato da bassista. Ma c’è una cosa che trovo innegabile: il blues è la radice del rock, ed il rock è il punto di partenza della quasi totalità dei generi musicali coperti da questa testata, comprese tutte le divagazioni e le alterazioni più estreme. È per questo che dopo il settimo ascolto consecutivo di “Won’t You Keep Me Wild?” non riesco a smettere, a mollare, a passare oltre. I GBR sono una band italiana, composta da musicisti talentuosi e questo loro debutto sicuramente fonda la radici nel blues, ma inietta una ottima dose di elettricità e di sensualità, anche di pazzia, dando vita a cinque brani (due inediti e tre classici) coinvolgenti, sexy, provocanti, ricchi di groove e suonati in maniera impeccabile. Divina. In apertura “I Just Want to Make Love to You”, un classico di Willie Dixon originariamente registrato da Muddy Waters: la versione GBR è provocante, tagliente, ricca di energia e quell’armonica è sferzante ed irresistibilmente erotica. “Keep Me Wild” è un brano originale della band: il blues scende alle radici ed emerge un sound dinamico, moderno in chiave classica, pulsante, travolgente… ed è un piacere sentire la performance vocale di Camilla su un brano inedito, piuttosto che in una cover di un classico! Camilla ha una voce intensa, molto soul ma anche chiara e squillante, un autentico talento che potrebbe offrire un’ottima resa anche su altri generi. Ma parlando di brani inediti è la ballad “Mary and the Fool” che mi esalta per l’altissimo livello di profondità emotiva, per la dolcezza dei suoni, per la voce sublime, il basso caldo e quella chitarra marginale ma infinitamente presente. Tra i classici l’intramontabile “Clean Up Woman” di Betty Wright, qui proposta con una vibrazione funk pazzesca, evidenziata da chitarra, linee di basso e cori… ed ulteriormente spinta ad alti livelli dalla voce di Camilla che veramente offre una prova di prim’ordine. Anche “I Don’t Know Her Name” di Leo ‘Bud’ Welch qui prende un’altra dimensione: a parte il fatto che cantata da una donna la trovo molto più provocante, questa versione attinge a piene mani da sonorità grezze, distorte, classic rock incrociato con un minaccioso alone stoner, quasi una sublime dannazione per un pezzo d’autore già in sé pieno di energia, ansia e fretta di essere suonato. I GBR non scherzano. Il debutto è confezionato con cura, la copertina è magnifica, le foto esplicative… e le espressioni degli artisti quasi anticipano il sound dell’opera. Secondo i miei parametri personali, 5 canzoni di cui 3 cover non è una buona cosa. Ma non sono poi tanto sicuro che laggiù tra la polvere del blues si possa parlare di ‘cover’ nel senso moderno del termine. Forse si deve parlare proprio di esecuzione di brani classici, qui originale ed impeccabile, oppure proprio di interpretazioni: ed interpretare qualcosa, da una canzone ad un sentimento, è quanto dovrebbe (e deve) stare alla base del concetto di ‘arte”. I due brani originali poi, mettono l’acquolina in bocca… e fanno sperare che questa release sia un po’ un banco di prova per i GBR, un trampolino per partire e regalare altro sound, altri brani, altre emozioni. Devo essere franco: questo album ha due ‘difetti’. Il primo è la riproduzione: questa è musica che vive per davvero quando suonata da un palcoscenico, con tutti i micro errori, il sudore ed il dinamismo di un concerto. Il secondo? Se proprio rimaniamo nell’ambito della riproduzione, allora questo album DEVE essere goduto seduti in poltrona, la sigaretta, il drink ed il VINILE -non un supporto digitale- che gira sul piatto con fare assonnato, nel suo oscillare irregolare, con tutti i fruscii ed i rumori di fondo i quali, secondo il mio punto di vista, non sono un disturbo ma una descrizione dell’essenza stessa della vita.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10