(Avalanche Recordings) E il tempo si dilatò… Il nuovo millennio porta i Godflesh a pubblicare con parsimonia, mentre progetti collaterali sbocciano nelle sabbie di questa civiltà che non sa più vivere. Justin Broadrick, uno dei musicisti metal più importanti del nostro tempo, e G.C. Green smaltano i propri fasti pur restando uguali a se stessi. I ritmi ipnotici e ossessivi, ma anche umorali, come da sempre, il basso che è un macigno e che vibra plasma, morte e decadenza. Con “Post Self” ritorna l’opinione nefasta sul nostro mondo dei Godflesh. Tre quarti d’ora di trascinante e sperimentale post-industrial, volto a descrivere dell’ansia che pervade l’uomo moderno e le sue paure alimentate da questa società che assorbe i sogni e sputa fuori smog e angoscia. I Godflesh sono ovunque. Riprendete scene di vita in una città, ai bordi di essa, sul lato di un’autostrada e sovrapponete al girato i pezzi di Broadrick e otterrete la misura dell’anima di questo mondo. Apre la title track, con il solito riff stampabile nei neuroni, sorretto da un ritmo che s’insinua anch’esso nel tessuto nervoso, mentre il basso pulsa onde. Il modo di fare più semplice, la consacrazione alle idee di Broadrick e Green. “Parasite” è una marcia meccanica e “No Body” presenta riff possenti, ma è il ritmo a concedere una struttura dinamica che sovrasta i megalitici accordi del duo britannico. Questo trittico iniziale rievoca il mood della metà degli anni ’90 dei Godflesh, era “Selfless” per esempio, ma qualcosa poi va ‘storto’. “Post Self” avanza si con passo marcato, ma l’elettronica entra nella concettualità psichedelica, mentre l’ambiemt accoglie di nuovo del drum and bass, stile mai troppo amato dai fans quando è stato proposto. È “Mirror of Finite Light” a raccogliere le sembianze dei Godflesh meno industrial metal e più votati a una plumbea elettronica e a un etero ambient, come avviene un po’ in tutta la seconda parte dell’album. “Mortality Sorrow”, “In Your Shadow”, la luminosa “The Cyclic End” sono i momenti più significativi dei Godflesh meno ‘puri’, ma non meno maestri. La costruzione logica di “Post Self” mette in scena qualcosa di diverso, almeno rispetto al precedente “A World Lit Only By Fire”. L’album è assolutamente un lavoro dei Godflesh e chi li conosce saprà cosa trovarci dentro.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10