(Adulruna) Adoro quando una band trova la propria strada, la propria dimensione, la propria direzione artistica. Quando questo succede, quando l’arte emerge e va oltre i primi tentativi -magari sinceri, ma ancora acerbi- allora è molto probabile trovarsi davanti ad un capolavoro. Questo è il loro terzo album, ma in un certo senso è il primo di una nuova era, il primo di una nuova line up stabilizzata, con ruoli chiari ed impegni presi. Il primo con la nuova lead singer soprano, ed il primo dove Alexander (mastermind ed ottimo tenore) e Jane sono in piena collaborazione anche sul songwriting, con Jane ora completamente dedicata al canto (un fantastico mezzo soprano, ma precedentemente suonava anche le tastiere). Forse anche il primo album nel quale si vede e si sente una forte ed intelligente collaborazione (oltre che amicizia) con il boss della label, ovvero Christofer Johnsson dei Therion… tanto che chitarre basso in questo album sono state affidate a Christian Vidal e Nalle Påhlsson. E, tanto per chiudere il cerchio, una delle voci (tenore) è il mitico Thomas Vikström, il quale si affianca alle tre voci delle line up fissa della band. Con un pacchetto simile, Alexander e Jane hanno potuto focalizzarsi su moltissimi altri aspetti: la bella copertina, i bei costumi scenici (disegnati da Jane)… ma anche il concept, la storia, i testi, le composizioni… fino ai ruoli dei personaggi, in quanto “The Legacy of Atlantis” non è solo un concept album ma anche una piccola rock opera di altissimo livello qualitativo ed emozionale! Ogni dettaglio è stato curato con maniacale e passionale attenzione, e coinvolgimenti di ospiti quali il coro del conservatorio di Mosca, risultano una idea ottima, efficace e decisamente azzeccata. Il concept si basa sulla teoria, supportata da Alexander (il quale è laureato in storia), secondo la quale non siamo la prima civiltà evoluta in questo pianeta. La nostra civiltà è iniziata tra i 10000 ed i 5000 anni fa, all’alba di egizie e sumeri… ma loro stessi furono una civiltà sorta sulle ceneri di una precedente, arrivata a livelli di evoluzione a noi ancora sconosciuti. Tra storia mai provata (ma nemmeno mai negata) e fiction, Alexander mette in piedi una leggenda secondo la quale queste civiltà avevano raggiunto un livello di uso del cervello tale da considerasi “superumani”. Circa 65000, tuttavia, avvenne una estinzione di massa a causa di un cataclisma mondiale meglio noto come la grande alluvione. Ma qualcosa di questi poteri è rimasto vivo, tanto che continua ad aleggiare sull’umanità che si è evoluta successivamente. Tale civiltà, chiamata anche Atlantide (da cui il titolo), rimane visibile grazie a certe credenze religiose, o a certe strutture megalitiche tutt’oggi impossibili da costruire con le nostre tecnologie moderne. La storia raccontata prende quindi spunto da queste basi e inventa il personaggio di Karina, una monaca in un monastero italiano del quattordicesimo secolo. Karina sente voci… la voce di Avva Rama, un grande gerarca di Atlantide reincarnatosi proprio nella mente della monaca. Karina prende coscienza, racconta tutto alla priora… ma sono tempi bui. Medioevo. Esorcismi. Inquisizione. Amori perduti. Magia. Tutti concetti e contenuti che danno vita all’altro lato stilistico degli Imperial Age: quello di tipicamente epic e power. Alla fine delle fantastiche nove traccie ci si rende conto che, nonostante la scuola Therion, gli Imperial Age vivono di vita propria, di stile personale, di creatività originale. Una opera symphonic metal dai forti sviluppi power metal, dai connotati superbamente epici, il tutto in un contesto orientato all’opera, ai cori della stessa, alla teatralità e allo spunto scenografico. Musica, arte, teorie, credenze e storia che portano, con distinti connotati artistici di pregiato livello, una vena di ottimismo: non un heavy metal distruttivo, pessimista ed oscuro… piuttosto un heavy metal che prende coscienza dell’autostrada verso l’inferno sulla quale l’umanità sta correndo a velocità folle e mette in scena una speranza, un epilogo luminoso, nuovo, fresco, in qualche modo remotamente nostalgico. Heavy metal che non trascina verso gli inferi demoniaci, ma che porta ad una rinascita, ad una definizione di umanità, ad un nuovo mondo dove tutti potremo finalmente trovare la nostra propria casa.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10