(Avantgarde) Otto anni sono passati dall’album “The Grave of Civilization” e ben diciannove dall’inizio dell’avventura del gruppo musicale romano chiamato Void Of Silence. Riccardo Conforti, batteria e tastiere, Ivan Zara, chitarra e basso, ingaggiano un nuovo cantante, Luca Soi, per mettere in scena il proprio funereo, triste, malinconico e non da meno maestoso doom metal. Quattro diversi cantanti, tra i quali si ricorda Melfeitor Fabban (Aborym) nei primi due lavori, hanno contribuito a caratterizzare il marchio musicale dei Void Of Silence. Un doom anni ’90, ma più oscuro in certi momenti, più maestoso per via dei synth, che un po’ modernizzano le modalità del sound, tuttavia non da meno nelle linee delle chitarre. Un’atmosfera si decadente ma cangiante nelle sfumature. Un’ora di musica, sebbene tanta certo forse non poteva essere di meno per manifestare quanto fosse intensa e bisognosa di attenzione da parte dell’ascoltatore. Momenti solisti e melodici di Zara quasi floydiani, accordi aperti che riempiono l’atmosfera, rinforzata dalle tastiere di Conforti, vero motore strutturale dei sei pezzi di “The Sky Over”. Nessuna sintesi compositiva, movimenti sonori lasciati scorrere placidamente. Almeno una composizione quasi di carattere ambient, come l’eterea “White Light Horizon”, oltre alla doppia strumentale “Adeona” che in meno d quattro minuti e mezzo si presenta lancinante prima, eterea poi, per un frammento strutturale di questo album che spezza l’angoscia che altri pezzi sembrano portare dentro. L’album poggia i propri testi sulle grandi sfide che alcuni uomini hanno portato avanti nella prima parte del XX secolo per l’esplorazione artica.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10