(Dark Descent Records) Ricordo ancora il comunicato stampa che annunciava l’uscita di questo album. Per un solo motivo: adoro le immagini di demoni e del diavolo tratte da stampe di epoca medioevale o che riprendono quello stile. La cover di “Coils of the Black Earth” è davvero inquietante e non lascia spazio a dubbi sul fatto che i Maveth abbiano un sound malvagio e infernale. Del resto anche i titoli, prima ancora di arrivare ad ascoltarli, si rivelano eloquenti: “Hymn to Azael”, “Hymn to the Black Matron”, “To Seed the Succubi” e così via. I finlandesi sono autori di un blackened death metal nero e ombroso e cantato da ChristButcher, anche chitarrista, ex Dethroned e Excommunium, nonché proveniente da Denver nel Colorado, USA. Il riffing è bestiale, ma allo stesso tempo possiede delle distorsioni tenebrose e capaci di sollevarsi ed emergere, nonostante la batteria di Ville Markkanen talloni continuamente ogni parto delle chitarre (l’altra è di Mikko Karvinen). Questi massacri tra legioni dell’inferno hanno anche una durata considerevole, infatti tolti quattro brani tra i 4′ e mezzo e i 5′, gli altri 6 superano i 6′ e anche i 7′ e mezzo. Come nel caso dell’accoppiata iniziale, “The Devourer Within the Gulf” e “Dragon of the Continuum”, oltre 14′ di tempeste e riff distruttivi. A dire il vero, giunti a metà album (all’altezza di “Hymn to the Black Matron”) si riesce ad avere da parte dei Maveth un attimo di tregua, attraverso ritmi in controtempo e fratture del riffing. Tuttavia non è questione di tempi e della batteria, la quale non si lancia solamente in blast beat o pattern di doppia cassa, sono le chitarre a ricamare continuamente subdole e bastarde melodie. Sublime quella di “Beneath the Sovereignty of Al-Ghul”, la quale cresce sia in impatto che nella cattiveria melodica. C’è tensione nelle sei corde e nelle trame che producono. Un vorticoso groviglio di devastazione e perdizione. “Sating Erictho” propone anche del groove nel riffing, ma è come un verme vorace che serpeggia tra le note e sporca ogni cosa, mentre ” To Seed the Succubi” libera una melodia maestosa e solenne, come l’incedere di un Granduca dell’inferno. I Maveth sono abominevoli e credo dimostrino di avere un proprio sound, nonostante la band alle spalle abbia solo un EP. Hanno però un difetto: i pezzi spesso durano troppo, perché gli capita di indugiare e crogiolarsi in quei passaggi malefici e perdono la bussola. Si piacciono, sguazzano in questo sound funesto. Per me, per i miei gusti, la cosa non ha dato problemi, ma ragionando senza le mie preferenze credo che potrebbero stancare un ascoltatore non affascinato da un tipo di sound così imponente e feroce e trovarlo poi monotono. Non credo abbiano altri demeriti. Anzi, per me non ne hanno.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10