(Ván Records) Gli Atlantean Kodex sono la miglior band heavy metal attualmente in circolazione. E per ‘heavy metal’ intendo il sound ‘classico’, quello che affonda le sue radici negli ’80, che sia poi declinato in versione power, epic, doom, NWOBHM o quello che volete voi. Non faccio questa affermazione con leggerezza: i bavaresi hanno assunto, grazie a “The golden Bough” e “The white Goddess”, uno status più che leggendario fra i defenders, che “The Course of Empire” conferma in maniera ineccepibile e strabiliante. E devo confessare il mio peccato: ascoltando il live “The Annihilation of Bavaria” avevo temuto che i nostri avessero perso un po’ di verve, perché l’inedito “Kodex Battallions” era un po’ esile… “The Course of Empire” dimostra l’esatto contrario! Dopo la intro “The Alpha and the Occident (Rising from Atlantean Tombs)”, epica come non mai, e che anticipa il tema della title track, la fluviale “People of the Moon (Dawn of Creation)” ha il pregio di una stentorea linearità: il brano è regolare (per gli standard della band), ma non per questo perde un atomo della propria carica magniloquente, esaltata ancora dalla parte folk. “Lion of Chaldea (The Heroes’ Journey)” è un inno basato su un riff illuminato: di nuovo i nostri scelgono una proficua ‘semplicità’. “Chariots (Descending from Zagros)” è ammantata di sacrale mistero: è il brano con i maggiori influssi doom, ma anche quello con la coppia bridge/refrain più immediata. “The Innermost Light (Sensus Fidei)” è un intermezzo lirico e struggente, con una sezione finale i cui cori danno i brividi… “A Secret Byzantium (Numbered as Sand and the Stars)” è epic metal puro, sullo stile dei Warlord, intenso e carico; “He Who Walks Behind The Years (Place of Sounding Drums)” vede una batteria insolitamente (ma piacevolmente) dura e presente (a tenere forse fede al sottotitolo), nonché un altro refrain che oserei definire orecchiabile. Si chiude con la title track che recita ‘Empires rise, empires fall’, e con un meraviglioso break acustico raggiunge ulteriori vette di epicità. Ma attenzione: non potete capire questa band se non leggete i loro testi, che parlano delle occulte radici d’Europa, delle sue millenarie tradizioni (‘Our hills were already ancient when Caesars met their doom’, recita “People of the Moon”), con colti riferimenti biblici e diversi accenni alla storia del vicino Oriente antico. “The Course of Empire” è qualcosa che la band stessa avrà difficoltà a superare: i brani durano ancora otto, nove, dieci minuti, ma le occasionali lungaggini delle prime prove sono scomparse. I 62 minuti di questo disco non hanno un attimo di vuoto, e trasmettono una epicità che gli appassionati credevano perduta per sempre. Se volete adesso sentire del vero heavy metal, correte a comprare il vinile (ovviamente, dato il meraviglioso booklet istoriato!) di “The Course of Empire”: mi darete ragione!
(René Urkus) Voto: 9,5/10