(Indie Recordings) “Delusions Of Grandeur” potrebbe chiamarsi “IV” in quanto è il quarto lavoro dei norvegesi Sahg che hanno abituato il loro pubblico con nomi di album asettici, semplici numeri romani progressivi. Ma il nuovo lavoro meritava un titolo più complesso, un titolo descrittivo: un concept album che parla di un uomo vittima della delusione dei suoi sogni di grandezza, di gloria; un uomo che cade in un circolo vizioso e senza uscita che lo porta nella prigione delle turbe psichiche, dento un isolamento totale, con la mente che crea un mondo surreale, fantastico, dove lui domina l’intero universo. La sua deviazione mentale lo porta ad uno stato quasi spirituale, lontano dalla realtà fisica, fino all’assenza di peso, alla dispersione nel nulla e nell’oscurità dello spazio. Un concetto astratto, spirituale, che richiama un antico modo di creare rock e metal, un modo che trova radici in band storiche quali coloro che hanno ispirato, su ammissione degli Sahg stessi, questo progetto: Led Zeppelin, Black Sabbath. Lontano dal doom metal comunemente assunto come genere suonato da questi quattro rockers, questo disco è un qualcosa di profondo. La crescente pazzia, incanalata in un concetto fantastico dove i confini tra realtà e finzione, tra vero e falso, che si annebbiano e si uniscono, diventa parte integrante della progressione musicale di questi tre quarti d’ora di musica entusiasmante. Il genere è un metallo potente, ma con imponenti legami ad una sonorità del passato, che per i Sahg non si tratta di copia ma bensì di vera ispirazione, tanto che il legame del passato è percepibile, ma non veramente rilevabile: si tratta di un feeling, ed è forse per questo che vengono associati a sonorità doom. Stupende tutte le canzoni, ma alcune superano il livello medio: “Firechild” è grintosa, ma ha quel tocco spaziale meraviglioso, e mentre si sente un metal incalzante, cavalcato, pieno di assoli, ci si può benissimo perdere nella quarta, quinta … sesta dimensione espressa dal ritornello. Ancora il ritornello a dare un feeling antico per “Walls Of Delusion”, un pezzo che vanta una parte con connotati teatrali scolpiti in una solida base di heavy metal puro diretto e schietto. Ancora potenza dispersa in sconosciute galassie lontane su “Ether”, mentre molto Sabatthiana con dose di cattiveria marcatamente accentuata l’ottima “Then Wakens The Beast”. Imponente la conclusiva “Sleepers’s Gate To The Galaxy”, che nei suoi oltre undici minuti riesce ad unire progressive metal, con metal classico, hard rock tradizionale il tutto spruzzato da quelle percezioni che emergono ascoltando bands come i mitici Hawkwind. E’ fantastico godere di musica con un determinante fattore moderno, musica che è molto lontana dalla maggior parte del “già sentito prima”, ma con quel vintage feeling ben presente che la rende istantaneamente un classico… un classico con una impostazione moderna, quasi futuristica. Imperdibile.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10