(Kaotoxin Records) “Sui Cadere” aveva un suo fascino (QUI https://www.metalhead.it/?p=8615), ma forse io non l’ho colto. Quell’album alla fine non è che mi avesse convinto del tutto. “Canto III” lascia capire da subito che la tipologia doom di Eye Of Solitude è sempre la stessa, cioè atmosfere decadenti, oppresse, sofferte, ma allo stesso tempo dalle ampie aperture, con melodie tristi e dai tratti tipicamente britannici, cioè del doom scuola terra di Albione. Anche questa volta il tutto viene espresso attraverso lunghe canzoni e arrivando a superare così l’ora di musica. Il tema che percorre l’intero album è l’Inferno di Dante Alighieri e infatti già nel brano d’apertura “Act I: Between Two Worlds (Occularis Infernum)” si ode Daniel Neagoe, il vocalist, che declama con disperazione i celebri versi “Nel mezzo del cammin…”. Sono oltre 14′ di melodie affrante che si dilatano e subiscono i colpi di un metal comunque turbinoso. Tuttavia è fin troppo chiaro che nei brani c’è un’interpretazione di una storia, o meglio un tema portante che detta le atmosfere nei pezzi. La parte nettamente metal degli Eye Of Solitude non viene intaccata o affaticata dal concetto lirico di fondo e infatti già “Act II: Where the Descent Began”, appunto il secondo brano in sequenza, propone una devastante accelerazione che mette in mostra una band che sa impattare con il sound in modo sostenuto e aggressivo. Trovo in “Canto III” una ricchezza tematica e metal maggiormente affinate, nonostante poi la lunghezza dei pezzi richieda inesorabilmente all’ascoltatore il suo tempo per assimilare e resistere allo scenario tragico e sofferente che Neagoe e soci mettono in scena dietro quella stupenda copertina. Ancora una volta ritengo non sia facile abbandonarsi alla desolazione che gli Eye Of Solitude sanno creare (nella quale partecipano anche i russi Casper, violinista, e Anton, cantante dei Dominia); è qualcosa che probabilmente i doomsters veraci sapranno ben apprezzare, ciò non toglie che la band anche questa volta si sia espressa con dei buoni toni. Forse anche meglio rispetto al precedente “Sui Caedere”, ma di sicuro si riconferma nell’esercitare un modo di fare doom personale. Trovo piacevoli diversi scorci e momenti in cui la band si ‘incavola’ di brutto eruttando metal possente e allo stesso tempo ricco di pathos, vedi “Act III: He Who Willingly Suffers”. In quei casi c’è vivacità, ma anche una buona e lucida manifestazione di un doom metal ricco e potente. Si, forse questa volta ho colto di più!
(Alberto Vitale) Voto: 7/10