(Century Media) Vent’anni sono passati dalla formazione di questa band Bavarese estrema, ed estremamente complicata. Lo ammetto: li adoravo disperatamente quando al microfono c’era Azathoth, ma l’attuale vocalist -Morean-, arrivato al terzo album, offre una vasta gamma di perversione, oscurità, malvagità…ed ampiezza nel range vocale proposto. Ogni album propone una diversa deviazione, quasi come se ogni singola release volesse descrivere un male umano in forma diversa. Stabili, a livello di line up, da quasi quindici anni (tranne il cantante che ormai ne conta sette, ed il tastierista… che ha recentemente abbandonato) si rivelano una band fedele a se stessa, che non si fa influenzare dai trend e che rimane costantemente focalizzata sul suo modo personale di descrivere l’oscurità. Il loro black metal è diverso, identificativo, quasi spirituale… e questa nuova release forse esalta proprio quest’ultimo fattore. Se il fantastico “Sèance” era più introspettivo e carico di una velenosissima atmosfera, il successivo “Eidolon” -forse anche per il nuovo membro dietro il microfono- era più brutale, più black metal in un certo senso. È con “Ylem” che la band torna al quel sound atmosferico, quasi magico, pieno di velata malvagità, intensa crudeltà. “Venereal Dawn” prende questa evoluzione e la porta al prossimo livello, dando vita a settanta minuti di impenetrabile sofferenza, intensamente interpretata da ogni musicista e dal cantante stesso. L’album, è di fatto un concept lontanamente ispirato ad un libro della trilogia “Le seconde cronache di Thomas Covenant l’Incredulo” di Stephen R. Donaldson, ed è infatti percepibile in maniera netta che le nove tracce non sono indipendenti, non sono semplicemente affiancate nello stesso disco ma sono in un certo senso legate in quanto è chiara una costante evoluzione, una storia, una connessione che rende necessario -e piacevole- sentirsi sempre l’album dall’inizio alla fine, tutto di un fiato. Apre la title track, un lavoro di oltre undici minuti (come dicevo, non è un album diretto o semplice), piena di evoluzioni, trasudante atmosfera talvolta creata da momenti brutali, altre volte da tremolo melodico, assoli, varianti vocali. Un pezzo monumentale che conferma la grande capacità creativa della band. Melodica, infatti entra in gioco anche la chitarra classica e voce pulita, la seguente “Lloigor”: un pezzo oscuro nel feeling ma brillante musicalmente, con un tocco di trionfale, quasi biblico. Più diretta “Betrayal and Vengeance”, costruita su un riff poderoso scandito da un coinvolgente mid tempo; anche qui non manca la componente inquietante scandita ad cori celestiali resi infernali dal contorno tipico della band. Atmosferica e quasi capace di descrivere ogni dannazione di cielo e terra l’emblematica “Chrysalis”, mentre rabbia e furia emergono già dal blast beat di apertura nell’ottima “I Am the Jigsaw of a Mad God”: la canzone poi evolve verso spazi più tecnici, cadenzati, ancora atmosferici, per tornare ad una violenza che unisce un symphonic black metal ad un riffing basato anche su chitarre acustiche. “The Deep”, proposta anche in versione acustica nella versione digipak, è riflessiva, lenta… una dannazione totale, con il vocalist che riesce a far sfumare un tono pulito e coinvolgente verso il suo letale growl pieno di odio, sofferenza, nefandezza. Piena di ritmo coinvolgente, quasi appartenente ad album precedenti (“Ylem” o “Sèance”), “Luciform”, una canone lineare ma ricca di intensità espressiva. È proprio questo il fattore geniale della band: ogni singola canzone, anche se non emerge secondo schemi tradizionali, riesce sempre ad integrare dettagli ricchissimi (il basso, le tastiere, la chitarra acustica): è decisamente un disco da ascoltare moltissime volte per poter percepirne completamente ogni singolo istante che contribuisce a rendere grandioso il feeling globale. In conclusione è posta un’altra traccia complessa… la più lunga dell’album (oltre i dodici minuti): “On Fever’s Wing”. Una traccia non convenzionale, anche se perfettamente integrata nel disco. L’apertura svela subito la particolarità, grazie alla lunga sezione dedicata al pianoforte (suonato dal guest Martin Kubetz); dal pianoforte si entra con fare epico su una oscura espressività basata su riff lenti e pesanti, melodia struggente fino alla parte cantata che in questo caso è particolarmente demoniaca, costruita su un riff cadenzato letale. Ma non è tutto: oltre all’uso delle clean vocal, compare anche una voce femminile (Safa Heraghi) cantando anche dei versi in arabo (l’uso di altre lingue compare nel corso del disco, come il Rumeno o l’Azteco). L’apporto di Safa è inquietante e si sviluppa perfettamente sull’andamento triste e rassegnato della canzone. Siamo ad un altissimo livello di complessità. Non è certamente un disco facile. Ok, i Dark Fortress ci hanno abituato a queste cose, ma erano sempre riusciti a fare qualcosa che alla fine aveva una componente diretta, o un messaggio emozionale velocemente comprensibile, assimilabile, impattante. Con “Venereal Dawn” raggiungono livelli elevati, a volte criptici, ma di assoluto valore.
(Luca Zakk) Voto: 8/10