(Sleaszy Rider) Solo un anno prima, nel 1996, i Rotting Christ erano ancora in un territorio sinistro e malefico, nonostante il loro black metal d’ordinanza fosse in calo come testimoniava “Triarchy of the Lost Lovers”, album era già distante dalle nere attitudini dell’album capolavoro “The Mighty Contract” del 1993 o “Non Serviam” dell’anno seguente. “A Dead Poem” sanciva probabilmente la fine dell’era fatta di zolfo, crudeltà ed epica tormentata e maledetta. I Rotting Christ nel 1997 rivoltarono se stessi e le proprie convinzioni per andarsi a chiudere dentro una tirata neo-gothic e dai tratti doom-death metal. “A Dead Poem” portò fan e critica a una serie di riflessioni positive e non: pochissimi pezzi memorabili (nei pochi spicca di sicuro “Ten Miles High”), molti però nella media melodica della band e carichi di quella già citata epica tormentata, ma non maledetta. L’unica vera eccezione è forse “Between Times”. Il black metal viene abolito, gli arrangiamenti usati sono lineari, la band vuole mostrare una personalità nuova ma attraverso un genere morbido. A pensarci bene, la seconda metà degli anni ‘90 ha rappresentato un periodo di mutamenti e i Rotting Christ colsero dunque l’opportunità di diventare altro. Il modo di suonare dei greci è riposto nelle pieghe del sound, nelle progressioni, nei modi di doppiare le chitarre con le ritmiche, eppure tutto ciò è posto dietro un’atmosfera levigata e per niente infernale. Un sound che ha un alone di malinconia, ma più di ogni altra cosa sembra la celebrazione di ere, epoche, miti, storie. L’album viene ripubblicato dalla greca Sleaszy Rider, all’epoca fu la Century Media a immetterlo sul mercato.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10