(Nuclear Blast/Audioglobe) “Blood of the Nations” era davvero un disco coi fiocchi, e bissare il suo successo appariva molto arduo: con “Stalingrad” i rinati Accept assestano un altro ottimo colpo che, pur se non può competere su tutti i fronti con il diretto predecessore, mostra in ogni caso che la reunion sta portando ottimi frutti e che il feeling all’interno della band è quello dei bei tempi andati. Inutile dire (spero) su che coordinate musicali si attestino i dieci brani in scaletta, quindi passiamo a una rapida analisi. “Hung drawn and quartered” fa la sua bella figura come opener: veloce, tagliente e con un Mike Stromillo, vero mattatore della nuova line up, che non ci fa rimpiangere il buon vecchio Udo Dirkschneider. La titletrack ha quel flavour epico e guerresco che la rende subito uno dei picchi dell’album: molto meglio riuscita, sicuramente, della più classica (e decisamente riciclata) “Hellfire”. Ancora toni marziali con “Shadow Soldiers”, un pezzo che consiglierei ai Sabaton per dare un po’ di varietà alle proprie composizioni. “Revolution” ci da tutta la carica che è possibile avere in quattro minuti; all’ultraclassica “The Quick and the Dead”, un’altra bordata no compromise, risponde alla fine della scaletta “The Galley”, che si fa apprezzare soprattutto per la coda strumentale molto rock, molto malinconica e soprattutto molto Rainbow. Nella valutazione finale giocano sicuramente un ruolo elementi affettivi ed emozionali, ma “Stalingrad” è uno schiacciasassi e nella vostra collezione non sfigurerà di certo.
(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10