(Napalm Records) Tredicesimo album. A trentuno anni dal debutto omonimo. Non è poco. Gli W.AS.P. di oggi sono molto diversi da quelli di allora. Lo stesso Blackie Lawless di oggi è molto diverso da quello delle origini, da quell’animale senza controllo, da quello di “Fuck like a Beast”. Il Blackie di oggi ha trovato una sua fede, un credo, una religione sua fonte di ispirazione, che alimenta la sua creatività. È un rinnegato? Un traditore? Si, no, forse… e, lo ammetto, io non condivido le sue scelte personali. Ma, appunto, sono scelte personali. Il dio in cui crede, il come ci crede, cosa o chi prega sono… solo affari suoi… mentre sono affari nostri le canzoni che scrive e la musica che ne scaturisce. “Golgotha”, proprio dove la religione cristiana colloca la crocefissione, è molto emblematico come titolo, almeno nella visione di Blackie, ed è un seguito del precedente “Babylon” considerato il tema biblico/oscuro di fondo. Blackie, alla soglia dei 60 anni, è artisticamente integro, stilisticamente fantastico, con quella voce unica, una voce inimitabile, tagliente ma allo stesso tempo struggente e malinconica, perfetta per queste nove tracce che descrivono disperazione spirituale, che gridano rabbia ed invocano molta preghiera, nove tracce che danno libero sfogo all’arte, all’artista, al Blackie sempre contro tutto e tutti, sempre in direzione contraria rispetto a qualcuno o qualcosa. Come struttura delle canzoni siamo ad altissimi livelli: tutte coinvolgenti, potentissime, ricche di energia… con Doug Blair che suona divinamente, regalando assoli meravigliosi, specialmente nella lacerante “Miss You”, un pezzo che fu originariamente scritto per lo storico “The Crimson Idol” e che si materializza solo ora: quasi otto minuti lenti, malinconici coronati da un infinito assolo che fa letteralmente venire la pelle d’oca. La opener “Scream” è subito d’assalto: chitarra grintosa, impostazione classica dei W.A.S.P., direzione tra energia pulsante e malinconia diffusa con un refrain indimenticabile. Heavy rock senza controllo con “Last Runway”, mentre “Shotgun” ha un feeling antico, ’70, ’80, con Blackie che si esprime con furia, forza, ricordando al mondo che molti hanno mollato, ma lui è ancora lì a fare quel che ha sempre fatto! “Fallen Under” è irresistibile: angoscia e disperazione che si materializzano con arrangiamenti superlativi, una tastiera epica e linee vocali che gridano forte, seminando il silenzio tutto attorno. “Slaves Of The New World Order” non lascia respiro, è impetuosa, ha un assolo esiziale ed un finale che fonde un feeling epico con del maledettissimo heavy metal classico. Ancora la disperazione di Blackie, della sua voce, dentro l’energia erogata da “Eyes Of My Maker”, energia che viene amplificata con la seguente “Hero Of The World”, prima dell’epica, disperata, tragica title track finale, un pezzo che sembra uscito da “The Neon God” o che rappresenta il passo successivo della meravigliosa “Heavens Hung In Black” (da “Dominiator” del 2007). W.A.S.P. in perfetta forma, ricchi di creatività, con una line up ormai stabile. W.A.S.P. presenti, invadenti, ingombranti. W.A.S.P. sempre capitanati da una figura mitica della scena heavy metal. Con un dio o senza un dio. Verso un dio o contro un dio. Ai limiti della devastazione o alle porte della redenzione. Messia del peccato o predicatore celeste. Qualsiasi sia la forma nella quale si manifesta questo demone dell’heavy metal, ci saranno sempre due strade che si dividono davanti al lui: la strada percorsa da quelli che lo apprezzano, lo adorano, lo amano. E la strada di quelli che lo odiano, che non lo sopportano, lo insultano e lo giudicano un rinnegato. La terza strada, quella del silenzio, quella che ignora e dimentica, la strada dell’oblio semplicemente non esiste.
(Luca Zakk) Voto: 9/10