(Obscure Abhorrence Productions) Black di pregiata fattura, potente, diretto, intenso e di deviata matrice Francese. È forse questo il riassunto del secondo lavoro degli Ende, i quali riescono ad ampliare notevolmente il loro range sonoro, arrivando a toccare confini lontani, abissi profondi. C’è il black primordiale, quello intenso, quello a base di tremolo e voce lacerante. Ma ci sono parentesi ambientali, con pioggia e campane (ad esempio “An Ode to Bathsheba”). Ci sono assalti frontali di scuola Gorgoroth. Ci sono tracce alternative e meravigliosamente tetre (come “Channelling of the Howling Witch”). Ci sono tracce epiche e cinematografiche (come l’inquietante conclusiva “May 1885”). E ci sono cinquanta minuti di black sublime, coinvolgente, black pieno di rabbia, di odio, ma anche di spiritualità ed introspezione. Immensa “Une Forêt de Cadavres”: veloce e tuonante, pura matrice norvegese, ma capace di ritagliare parentesi di una epicità oscura (arricchite dal suono della lingua francese) e anche di arrivare ad una sezione trionfale basata su arpeggi maledettamente irresistibili. Poderosa “Aux Relents Fiels”, con la sua progressione incalzante, mentre è pericolosamente oscura “Black Sorcery of the Great Macabre”. Gli Ende non sono certamente un esempio di tecnica o rivoluzione della scena. Ma sono estremamente intelligenti: conoscono le loro capacità, sono al corrente dei loro range creativi, pregi e limiti compresi; e con questa intelligenza, abbinata ad un tocco di influenza nordica ben mescolata con la derivazione francese, materializzano questo ottimo “The rebirth of I”: un disco di black metal senza debolezze, senza intoppi. Non è certamente la rivelazione suprema (ammesso che qualcuno la stia cercando), ma è un disco che non stanca nemmeno dopo ripetuti ascolti, un disco avvincente, un disco perverso. Un disco maleodorante che emana male e marciume dal primo all’ultimo minuto.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10