(autoprodotto) Con un po’ di sorpresa noto che gli statunitensi Windfaerer sono ancora indipendenti: nessuna label li ha ancora messi sotto contratto… Scelta intenzionale della band o una mancanza di lungimiranza delle etichette? Quel che è certo è che questo loro secondo album è una costante conferma di quanto anticipato con il debutto del 2010 e l’EP del 2012, ed il loro black metal di origine folkloristica riesce a riassumere i migliori suggerimenti scandinavi e francesi, dando origine ad un qualcosa di estremamente emozionale, intenso, glorioso ma anche efferato, crudele, violento. Rimangono queste storie iberiche (richiamo alle origini etniche del front man), rimane quella profondità nei testi, rimane un’ampiezza atmosferica praticamente illimitata. “Tenebrosum” (antico nome dell’oceano Atlantico) si sviluppa attraverso sette elaborate tracce dove la base black metal imboccare sentieri diversi, arrivando ad un metal classico e divagando su un folk intelligente ed originale dove il violino non è semplicemente uno strumento aggiunto ad una struttura musicale di base, ma ne è piuttosto una componente essenziale, le canzoni sembrano quasi scritte a partire proprio dalle note eccentriche generate da questo strumento un po’ classico, un po’ tradizionale, un po’ vagabondo. “Celestial Supremacy” apre l’album con energia, con rabbia, offrendo spazio a quel violino quasi assurdo quando messo a fianco di un growl selvaggio. La opener arriva su tonalità epiche verso la fine, prima di lasciare spazio a “Finisterra”, pezzo ricco di suoni intensi ma anche ritmiche che trovano una piacevole origine su metal e power metal classici, senza dimenticare un ottimo tremolo ed una parentesi che accosta blast beats a sonorità folk, prima di abbandonarsi ad un’atmosfera da sogno. Intensa “Tales Told in Oblivion”, ricca, profonda e con un drumming prestigioso. Crudele e brutale lo strumentale “Santería” che ancora una volta accosta un violino forsennato a ritmiche tirate e drumming poderoso. Superba “The Everlasting”, forse la traccia più black dell’album, ipnotica “Morir en el Olvido”, con divagazioni post black ed un gusto che ha molto di black francese. La conclusiva “The Outer Darkness” è un capolavoro dall’impostazione assurda e priva di regole: black tirato, assurdità di un violino fantastico, lyrics perverse, cambi e parentesi che non appartengono ad alcun genere musicale se non ad una pura e fredda genialità compositiva (basso, violino e batteria sono entusiasmanti). Musica nella quale scorre un sangue fiero, musica piena di rabbia ma anche di malinconia, nostalgia, richiamo di una terra lontana, remota sia nello spazio che nel tempo. In un contesto pieno di tradizione ed un legame con un passato antico, i Windfaerer si rivelano ancora una volta innovativi e rivoluzionari nel trasformare in musica sentimenti arcaici ed assolutamente lontani dal qualsivoglia concetto di modernità. Riescono a fondere evoluzione e tradizione in un unico blend musicale dal sapore sconosciuto, con un retrogusto sconvolgente ed irresistibilmente attraente.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10