(Nuclear Blast) I Fleshgod Apocalypse estendono sempre più la propria notorietà in Europa. Vuoi per l’etichetta che c’è alle spalle, vuoi per il fatto di aver inserito nel proprio sound parti sempre più consistenti di orchestrazioni, raggiungendo così un pubblico sempre più ampio e forse dai gusti di diverse estrazioni, la formazione italiana diventa di fatto un nome sul quale puntare per i prossimi anni. Inoltre ai Fleshgod Apocalypse va dato atto di essere una band dal forte impatto. Ascoltare un loro pezzo significa esporsi alla collisione con una roccia. È stato sempre così, sin dagli inizi, e “King” porta alle estreme conseguenze questo aspetto. L’impatto verso macigni di symphonic groove death metal piovono come un cataclisma, eppure vige la sensazione che dietro tale granito iniziale vi sia poco. Provando a fare una sottrazione degli elementi, si arriva a qualcosa che presenta delle mancanze nelle ossature di tutto il songwriting: togliendo le scariche irruente e marziali della batteria (ripetute fino all’eccesso), gli abbellimenti orchestrali e poche soluzioni vocali (alle quali lavorano il growl di Tommaso Riccardi, le clean di Paolo Rossi e il soprano Veronica Bardonicchi) resta poco. Al death metal, al groove, si aggiungono passaggi alquanto cinematografici, degni di un colossal mai girato. “Gravity” s’incammina verso un territorio symphonic-prog e con qualche squarcio melodico sempre di grande respiro, mastodontico. “Syphilis”, con oltre sette minuti, riecheggia atmosfere Dimmu Borgir, anche se alla lunga è lo stile della band a venire fuori. Dopo l’intro “Marche Royale”, “In Aeternum” promette grandi cose. La canzone spinge, ha maestosità (caratteristica mai assente in questo album), intarsi melodici e un’ossatura sinfonica sorretta da un guitarworking che insieme al drumming, creano un piacevole caos. Proprio quel caos, quel battere irruento, frenetico e pomposo ritorna continuamente e la cosa alla lunga stanca. L’incipit di “The Fool” va a segno, solo grazie all’orchestrazione perché poi batteria, basso e chitarre si comportano come un cantiere a pieno regime. A proposito di ripetizioni: le clean vocal si comportano sempre allo stesso modo. Anzi più che clean sono ‘scream’ (proprio di un urlare immotivato) che niente aggiungono in fatto di armonia e melodia. Al di là delle considerazioni di chi scrive, del tutto opinabili, “King” è per le attenzioni degli amanti del puro symphonic e di coloro votati a situazioni death metal. L’album incarna ambedue gli stili. Solo il peso reale dei contenuti, farà la differenza con tutto il resto del popolo metal.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10