(Nuclear Blast Records) Comincio a pensare che i Paradise Lost ci prendano in giro. Dopotutto sono inglesi… non può mancare quel loro humor nero, decadente e spesso dissacrante. Ricordo che in occasione di “Tragic Idol” (qui), evidenziai che si trattava di un ottimo disco senza idee nuove, un buon disco che non divideva la critica. Eppure fu un mio errore non notare la vera novità, ovvero che per una band sempre in controtendenza, sempre capace di sorprendere, fare un album ‘normale’ è di fatto una sorpresa, una novità. Già il successivo “The Plague Within” rappresentava il ritorno alle radici: basta roba normale, basta synth pop, basta dominio delle clean vocals. Un ritorno alle radici inaspettato all’epoca, riconfermato con ulteriore potenza, maggiore profondità ed ulteriore tecnica dal nuovo “Medusa”. Me li immagino i Paradise Lost, seduti in salotto, sorseggiando il Tè pomeridiano, ridendo tra loro… “vediamo che cazzo scrivono di noi questa volta i giornalisti?”. Che poi nell’era moderna di ‘saputellismo social’ le opinioni non arrivano solo da più o meno autorevoli testate giornalistiche, ma anche da chiunque sia in grado di leggere e scrivere, per comporre una frase di senso quasi compiuto (spesso con grammatica discutibile). Uno spasso! Avendo coperto un vasto ventaglio di generi, avendo diviso, unito, ridiviso e riunito il pubblico più volte… ormai è palese che i Paradise Lost sono imprevedibili e, nel caso di qualcosa di prevedibile, sicuramente c’è dietro un’ironia, una voglia di far cambiare i piani… perché il loro prevedibile rimane comunque inaspettato. “Medusa” riparte dai concetti del precedente disco e affonda la lama nel goth doom delle origini e fin dalle prime note il senso di miseria e decadenza appare palesemente marcato. E quando il growl funereo di Holmes lascia spazio al fantastico clean, le cose diventano assurdamente più pesanti in un contorno di oppressione soffocante. Brani come la opener “Fearless Sky” sono dissacranti, intensi, pesanti, grezzi (ma meravigliosamente definiti). “From The Gallows” è graffiante, ricca di oscura melodia, con un basso lacerante e con un drumming favoloso (merito della new entry Waltteri Väyrynen, batterista anche di Vallenfyre e Abhorrence). La title track offre una melodia superba, con riff contorti e linee vocali intelligenti che abbinano con genialità clean e growl. Catchy e poderosa “Blood And Chaos”, dove la band materializza un groove monolitico che genera trasporto, il tutto in un brano da un certo punto di vista semplice ma ricco di dettagli e frammenti creativi assolutamente esaltanti. I Paradise Lost iniziano ad entrare nell’olimpo delle band che non ha più senso recensire. Non solo per l’immancabile qualità e l’eccelsa tecnica, ma per il semplice fatto che stare al loro gioco può essere pericoloso. Certo è che amano provocare in maniera intelligente e non diretta o esplicita: semplicemente lo fanno suonando quel che più gli aggrada, più o meno infischiandone delle aspettative, alimentando critiche di tutti i tipi che altro non servono ad innalzarli ulteriormente verso quell’olimpo riservato a pochi grandi della storia del metal.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10