(Century Media) Ad Avatar Country regna un Re. Ci regna da una eternità, o forse due. Si crede sia immortale. Si ipotizza non sia nemmeno di questo mondo, di questa galassia. Una monarchia assoluta, quasi un glorioso dittatore celeste, un Re divino nel cui regno il suono deve essere potente, il tuono devastante, la forza superlativa. Gli svedesi Avatar mettono in piedi un disco completamente fuori di testa, assurdo, deviato, malato. Prendete i System of a Down, prendete proprio Serj Tankian, modificatelo geneticamente ed installategli organi bionici a caso, drogatelo con stupefacenti ricavati dalla terra ma trattati con ricette stellari, collegatelo ad una fonte di energia perpetua… ed ecco, forse, che viene salta fuori la pozione magica che sta alla base dell’assurdità di questo disco, di questa pazzia senza un apparente senso. Senza senso a tal punto che risulta fantastico! L’esperienza che proverete sarà più o meno la seguente: primo ascolto… ‘che schifo’. Secondo ascolto… ‘hey’. Terzo ascolto ‘dio esiste’. Dal quarto ascolto, sarete risucchiati in una spirale di pazzia e deviazione senza precedenti. Non ascolterete solo metal. Ma sempre nel nome del metal. Ascolterete di tutto, suonerà dannatamente metal, senza essere appartenente ad alcun genere preciso. Dopo l’epico intro, “Glory to Our King”, ovvero un incrocio tra dei gloriosi Hammerfall e degli tirolesi ubriachi in una festa popolare alpina, è “Legend of the King” che destabilizza: assoli virtuosi come la miglior power metal band… prima di divagare su un death metal tecnico, con principi di brutal, suggerimenti di black, sballi clean, suggestioni provocanti e pure vagamente romantiche. “The King Welcomes You to Avatar Country” è impossibile; questo non è country mescolato a metal: è country, è southern rock, è rock degli AC/DC (si!), è quel rock polveroso con un dose pazzesca di metallo allo stato liquido iniettato dentro! Tra il groove metal ed il nu-metal con “King’s Harvest”. “The King Wants” è ossessiva, quasi pop, beat, dance e rock… e metal…ed alternative… ed anche trendy, fuori, strana… stupenda! “The King Speaks”… quasi tre minuti e mezzo con le parole del Re, la voce del Re, con tanto di telecronaca e… sottotitoli: se per qualche motivo fino a qui trovavate la cosa solo geniale, con questa torniamo nella pura assurdità, ovvero il terreno naturale di questa band. Violenza death metal inaudita con sprazzi di luce su “A Statue of the King”, stupendo il groove di “King After King”, una canzone nostalgica, darkeggiante, avantgarde e decisamente ben riuscita. In chiusura altre idee sballate, ma intelligentemente amalgamate con i due brani “Silent Songs of the King“: ed ecco che quel senso di ‘non ci capisco più nulla’ inizia ad intensificarsi fino a far diventare tutto chiaro e palese; una rivelazione troppo grandiosa per le limitate capacità mentali degli esseri umani, dei sudditi di questi maestoso Re, al quale questo concept album si inginocchia, con devozione e venerazione. Con religioso psicopatico rispetto.
(Luca Zakk) Voto: 9/10