Seguo una grande quantità di concerti, in Italia e all’estero. Osservo ogni aspetto da ogni punto di vista, quello del pubblico ma anche quello delle band, fino a quello degli organizzatori. È un mondo complesso, contorto, pieno di imprevisti. Ogni serata, ogni evento, è una scommessa: tutto può andare bene, alla grande, ma basta un piccolo dettaglio per mandare in rovina una serata che si preannunciava fantastica, trasformando divertimento in lamentele e critiche. Tuttavia io sono solo un giornalista, racconto quel che vedo e vedete anche voi, ascolto e racconto quello che ascoltate anche voi. Pertanto, per far luce sul lato nascosto,quello oscuro, sul dietro le quinte di ogni concerto metal, ho deciso di rivolgere alcune domante a chi porta davanti ai miei -ai nostri- occhi molte band di un certo livello. Parlo della gente che porta sul quel palcoscenico musicisti che sanno regalarci serate indimenticabili. In questo caso ho parlato con Alex Torchia, direttore artistico di una venue in Veneto, un locale in costante crescita che offre concerti sempre più interessanti… non a caso questa intervista si è tenuta durante un cambio palco della serata di apertura della stagione 2019/2020… la serata dei Mgła!
MH: Ormai è qualche anno che sei il responsabile artistico del Revolver.
AT: Si, ci ho lavorato per quattro anni, poi c’è stata una chiusura di due anni, poi ho ripreso… questo è il quarto anno dalla ripresa.
MH: Eventi sempre più tosti, in crescendo, almeno se guardiamo i nomi che porti qui, ma prima di andare al sodo… so che hai un passato di musicista, batterista della heavy metal band Gears of Doom…
AT: Io nasco come batterista assolutamente amatoriale, nel senso che non sono un professionista. Ho suonato per anni con gli And Harmony Dies (come Alex T. Maelstrom, ndr) che sono un progetto di Fabio Black e fanno avantgarde metal. Poi sono uscito dalla band in quanto ferma per registrare, senza più un interesse di suonare live, e a me -non essendo un professionista, ma un amatore- piace suonare dal vivo. Poi ho suonato per un periodo negli Outlaw Stars, una glam rock band, fino a formare i Gears of Doom, nei quali ho suonato per sei anni e con i quali adesso stiamo ragionando per vedere se è possibile una piccola reunion, per vedere di fare ancora qualcosina.
MH: Quanto conta essere stato “sul palco” per fare il lavoro fai ora, ovvero portare altri musicisti su quel palco?
AT: Beh, è importantissimo. Perché avendo vissuto, anche se non da professionista, l’altra parte della barricata, tra virgolette, ti aiuta ad anticipare magari quelle che sono le esigenze, le necessità del povero musicista.
MH: Sai già cosa aspettarti…
AT: So già cosa aspettarmi. Poi ovviamente man mano che si lavora con band di livello sempre più alto, si impara a migliorare e a capire di più quali sono le esigenze più particolareggiate, perché non è sempre facile ospitare dei gruppi, anche con un certo nome.
MH: A livello di musica, visto che in Italia di metal si fatica a campare… organizzi anche altri eventi di altri generi?
AT: No. La musica per me è metal. Rock e metal. Per cui per quanto riguarda il mondo della musica io vivo dentro il contesto del rock e del metal, organizzo delle serate a tema gothic, darkwave anni ’80, ovvero un’altra passione che ho da tantissimi anni. Però lì mi fermo. Poi ho una mia attività che organizza eventi aziendali, per cui faccio congressi, lavoro per delle aziende che fanno degli open-day, cose del genere. Però a livello i musica faccio quello che è nell’ambito della mia passione, cioè rock e metal.
MH: La tua passione per il metal, quando e come è nata? Perché, come dici, per te non è solo lavoro, ma comunque è il tuo compito far incastrare tutti i pezzi di un puzzle di una serata. Ami il metal e forse per te è più facile, ma come è nata questa tua passione?
AT: Guarda, io sono diventato metallaro (ride, ndr), se possiamo dire così, quando avevo 15 anni, quindi stiamo parlando degli anni ’90. Ho cominciato con i classici, Iron Maiden, avevo mio padre che era un appassionato dei Black Sabbath, amante dei Led Zeppelin, dei Rainbow, per cui… buon sangue non mente, ed io ho cominciato con il rock per poi passare al metal più classico, Iron Maiden, AC/DC, Judas Priest, tutte cose così, e poi da lì mi sono ampliato verso Metallica, Pantera, Megadeth e poi un po’ tutti i generi. Essendo io un metallaro ormai 44-enne, non ho tanto la mentalità del ‘dividiamo tutto per etichette’. Per me il rock è rock, il metal è metal. Poi può essere metal estremo, metal più classico, però il mondo del metal per me è metal, non faccio tante distinzioni.
MH: Hai curato eventi anche per altri locali in precedenza. Come è cresciuta questa tua carriera? E dove vuoi arrivare?
AT: Allora ho cominciato a lavorare in un piccolo pub che si chiamava Enjoy Pub a Mogliano V.to (TV) dove facevo le date dei gruppi locali e ho sempre lavorato tanto con l’underground fino a 2-3 anni fa. Poi sono cresciuto professionalmente e sono andato a lavorare come co-direzione artistica assieme a Roby Rock del Sotto-Sopra di Este (PD), ho collaborato con il New Age Club (provincia di Treviso, ndr), e diciamo che il New Age Club è stato per me proprio una palestra, una scuola, nel senso che secondo me qua in Veneto è il locale in assoluto che ha la più grande professionalità nell’organizzazione di eventi. Li ho imparato moltissimo facendo di tutto, dal runner, a quello che scarica gli strumenti dai camion, a quello che preparare i cathering. Li ho veramente imparato tanto, tanto, tanto per quel che riguarda il mio lavoro. E poi ho lavorato prima con il Revolver, poi con il Work In Progress a Padova per un paio di anni, ed adesso sono tornato qui in pianta stabile al Revolver ormai da 4 anni. Dove voglio arrivare? Mi piacerebbe… un mio grande sogno è quello di riuscire a lavorare per un grosso evento, come potrebbe essere un Gods of Metal, tanto per dire. Noi che siamo vecchi ci ricordiamo i Monsters of Rock ed i Gods of Metal, mi piacerebbe molto lavorare in quel tipo di produzioni. Anche se in Italia è molto difficile.
MH: Immaginiamo che ora si avvicina un giovane e ti dice “voglio fare un lavoro come il tuo”. Un consiglio a caso?
AT: Un consiglio a caso? Sii ben cosciente del fatto che la passione… intendo dire, una cosa è la passione, una è il lavoro. A me è capitata tante volte questa cosa qua, dei ragazzi che mi hanno detto cose come ‘a me piacerebbe tantissimo fare il tuo lavoro’. Ok. Ma dopo un mese hanno mollato. Perché? Perché questa sera avevano impegni con la fidanzata, domani sera non potevano, la prossima settimana c’era il compleanno di qualcuno…
MH: Un lavoro demandante…
AT: Purtroppo è un lavoro che ti richiede tanto tempo. Quando veniamo qui per una data, noi siamo qui da mezzogiorno fino alle alle tre del mattino, per seguire tutta la produzione. Il lavoro del direttore artistico non è solamente scegliere la band e basta. Deve scegliere la band, seguire la produzione, essere in contatto con il tour manager, con l’agenzia…
MH: L’architetto dell’evento.
AT: L’architetto dell’evento. Il primo che arriva e l’ultimo che va via.
MH: Cosa vuol dire oggi curare gli eventi di un locale come questo per un genere musicale così vasto e contorto?
AT: Diventa complicato non tanto per la scelta dei gruppi, quanto per interpretare esattamente cosa il pubblico vuole. Nel senso che purtroppo le etichette oggi sono diventate tantissime, e quando non si sa bene cosa faccia una band gli si pone una etichetta nuova. A me fa sempre ridere pensare agli HIM che sono l’unica band ‘love metal’ esistente. E questa etichetta se la sono messa da soli. La difficoltà non è tanto destreggiarsi tra le varie band, ma quanto destreggiarsi tra i vari gusti del pubblico. Perché a volte -e a me fa ridere ma mi rendo conto che per il pubblico non è così- ospitare un gruppo che fa symphonic black metal, piuttosto che norwegian black metal…piuttosto che technical death metal… per me sono tutti gruppi di musica estrema che io apprezzo… invece per gli utenti tante volte è diverso, vanno a vedere solo il gruppo che fa symphonic, oppure il gruppo che fa true, oppure quello che fa technical death… c’è molta discrepanza, più per il pubblico che per noi organizzatori.
MH: Quindi è difficile scegliere.
AT: È difficile scegliere. O meglio è difficile capire cosa vuole il pubblico.
MH: Una domanda con la quale ti puoi sbizzarrire. In giro ci sono concerti o festival che saltano, ovviamente all’ultimo minuto. Purtroppo, specialmente grazie ai social, tutte le colpe arrivano a prescindere… su chi organizza. Ma basta immaginare i 1000 dettagli che compongono un evento per capire che basta una sola cosa fuori posto (un volo in ritardo, una tour bus guasto, un musicista ammalato…) per mandare a quel paese una intera serata che coinvolge un sacco di persone e pure un sacco di soldi. Ti sto offrendo, volentieri, lo spazio di raccontare come stanno le cose da quell’altro lato delle transenne. Per far capire alla gente cosa succede. Perché un concerto un bel giorno scompare. E perché non ci si può incazzare più di tanto…
AT: Allora. Bisogna distinguere. In Italia purtroppo c’è tantissimo pressapochismo e tantissime situazioni poco professionali. E quelle le lasciamo un attimo da parte, non ha senso parlarne. Festival improvvisati che saltano all’ultimo perché chi organizza non ha pagato gli anticipi o i voli, o non ha chiesto i permessi, succedono di continuo ma è inutile parlarne perché ricade nella poca professionalità. Nell’ambito di festival o serate organizzate in maniera professionale, purtroppo la sfiga ed il caso fanno si che un lavoro che è di mesi… calcola che il pubblico viene al concerto e magari prende la prevendita due mesi prima, ma un organizzatore per il festival ci sta sicuramente lavorando dall’anno precedente. Poi come dicevi tu, salta un volo, un musicista si è ammalato, una band della quale non faccio il nome -però è successo- è stata fermata alla dogana con svariate quantità di droga nel tour bus… purtroppo succede che la serata salti. A quel punto io posso capire il pubblico che se la prende con il primo bersaglio utile che è l’organizzatore, però solitamente quando una serata salta all’interno di un locale come può essere il Revolver, o il New Age, o molti altri locali che fanno il lavoro professionalmente da tanti anni, solitamente l’ultima responsabilità è quella del locale. Perché vuol dire che è successo qualcosa prima, non per forza per colpa della band, ma può essere successo semplicemente uno dei tantissimi casi di sfiga che possono capitare nella vita. Quindi, comprendo la rabbia degli utenti, ma qualche volta bisognerebbe provare ad immaginare quale danno possa essere per il locale l’aver investito già tantissimi soldi per una data che poi non si è svolta regolarmente. Poi le cose che seguono non sono automatiche: ti posso assicurare che sono molto più lunghi i tempi di rientro di un anticipo su un cachet verso chi organizza, piuttosto che i tempi di rientro dei biglietti di una prevendita verso gli spettatori
MH: Quanto aiuta o intralcia il sistema Italia nel tuo lavoro? Dalle tasse, ai permessi, alla burocrazia, alle norme dei locali. I tuoi colleghi in altri paesi, dalla Germania alla Scandinavia e fino al proliferante est Europa se la passano meglio… vivono in un sistema che offre più supporto?
AT: Vivono in un sistema diverso. Io sono in contatto con tanti miei colleghi che lavorano all’estero. Il problema è questo: noi in Italia soprattutto da quando è andata in vigore la legge Gabrielli, abbiamo un grossissimo problema legato alla sicurezza nei locali. Ci sono delle norme ipertrofiche rispetto a quelle che sono veramente le esigenze di una serata di musica dal vivo. Per fare nel mio lavoro una inaugurazione di un supermercato, dove ho due casse che fanno un po’ di musica ed un presentatore sul palco, devo avere quattro persone con certificati di primo soccorso ed incendio ‘rischio alto’. Adesso, dimmi, che tempesta di fuoco vuoi che capiti in una situazione del genere? Nessuna. Però purtroppo l’Italia ragiona così; mentre all’estero spesso si ragiona diversamente: quando tu hai ovviamente dato una idonea sicurezza alla tua manifestazione, se poi c’è un braciere ed io ci metto un piede dentro significa che sono scemo io; in Italia se io ci metto un piede dentro e mi faccio male è colpa dell’organizzazione. Quindi per mettere un braciere in una festa dovresti avere una transennatura a quattro metri dal braciere, l’area perfettamente indicata, con i pompieri, quindi noi abbiamo questo grossissimo problema. All’interno dei locali questo fa si che un luogo che poterebbe ospitare comodamente mille persone il quale però anziché tre bagni ne ha solo due, vede la sua capienza diminuita a duecento; quindi fai il sold-out… e questo è capitato in alcuni locali che non cito (che però si stanno adeguando); è capitato che fai serate con esposto il cartello di sold-out e, guardando il locale, lo vedi completamente vuoto, con tre file di persone davanti. Purtroppo l’Italia è anche questa, non è un paese facile dove lavorare da questo punto di vista. E paliamo di indoor. Per quanto riguarda i festival all’esterno, dove le norme di sicurezza più restringenti, è un terno al lotto riuscire a fare la manifestazione. Qui in Italia spendiamo in media un 20/30% in più rispetto a qualsiasi festival estero.
MH: La band da sogno, il tuo sogno, che vorresti portare ad un tuo evento?
AT: I Megadeth! Te lo dico perché, lo sanno tutti, è la mia band preferita.. ed è una delle poche -ed ho lavorato veramente con tantissime band- una delle poche con le quali non sono mai riuscito a lavorare… però ovviamente essendo la mia band preferita sarebbe uno dei casi nei quali lavorerei da fan oltre che da professionista!
MH: Rapporto con la stampa? Sii sincero, prometto che non ti censuro!
AT: Il mio rapporto con la stampa è abbastanza buono… quando capiscono che io sono una persona che dice sempre quel che pensa. Infatti quando si parla di underground non mi intervistano più. Perché poi le band underground si lamentano con la stampa… quindi preferiscono censurare. Però non ho mai avuto problemi con la stampa perché solitamente, ognuno fa il suo lavoro: io sono in un ambito fortunatamente privilegiato perché il mondo della musica è quello che mi piace e, solitamente, la gente in questo settore, sia nella mia posizione che in quella della stampa, è tutta gente appassionata. Quindi non è mai un problema la stampa. A volte ci sono delle recensioni o delle cose che non condivido, ma faccio sempre il ragionamento secondo il quale il giornalista è una persona in mezzo ad altre centinaia che vivono un concerto e, sicuramente, non sarà l’unico che ha degli appunti da fare; quindi cerco di lavorare al meglio, di far lavorare i ragazzi dello staff al meglio e di prendere le critiche come degli sproni positivi senza arrabbiarmi.
MH: Di solito quanto intervisto musicisti, cosa che mi capita di fare qui da voi, concludo lasciandogli dire quello che vogliono, magari salutando i fans ed i miei lettori. Nel caso tuo è un po’ diverso, quindi… concludi un po’ come vuoi quindi… magari rivela brevemente cosa c’è da aspettarsi nei prossimi mesi da questa parti!
AT: Partiamo dalla stagione. Questa stagione vorrei cercare… il Revolver funziona molto bene con gli eventi di metal estremo e questa è una cosa che mi fa molto piacere. Però ovviamente un locale non può diventare mono-genere, nel senso che non è corretto nemmeno per tutti gli altri metallari che magari vorrebbero vedere cose diverse. Quindi proverò a fare degli inserimenti, uno di questi sono i Freedom Call, già annunciati (8 novembre, ndr). Un altro genere sul quale vorrei incominciare a lavorare da quest’anno è il pagan metal/folk metal, perché sono due generi che mi intrigano e che mi sembra abbiano un certo seguito ed una certa richiesta. Quindi la scommessa è sempre quella di riuscire a differenziare un pochino il genere per far contenti un po’ tutti… poi ovviamente per ragioni strettamente utilitaristiche, ci sono dei generi che qui non funzionano. Un esempio è il glam metal che qui purtroppo non ha mai funzionato bene, quindi è un genere che purtroppo al Revolver si vedrà sempre molto poco.
Concludo salutando un po’ tutti, ringraziando te per l’intervista -è sempre un piacere- ringraziando METALHEAD.IT, ma anche tutte le webzine ed i giornali che danno comunque importanza a questi eventi che facciamo, questi spazi per noi sono vitali… è proprio così che poi la gente conosce il locale.
Chiudo mandando un saluto particolare a tutte le band underground che mi scrivono in continuazione e mi chiedono perché non possono suonare al Revolver. Non possono suonare qui perché il locale è di una certa dimensione, ha una capienza di un certo tipo, ha dei costi di un certo livello i quali fanno si che le band che viaggiano sulle 50/60 persone, ovvero gli amici che le vanno a vedere, qui non possono trovare spazio. Ma non perché non vorremmo averle! Ci abbiamo provato tanto a fare band underground. Però ci siamo resi conto che addirittura facendo festival con otto, nove o dieci band… facciamo ottanta o novanta persone e purtroppo questo è un locale che con ottanta o novanta persone -anche se le bands costano zero- non paga le spese della corrente, dell’affitto e del personale. Quindi consiglio a tutte le band che mi scrivono di lanciarsi in un tour agganciandosi a qualcuno (di più noto, ndr). E comunque, come dico sempre: ragazzi, lavorate sui vostri pezzi, lavorate sulla band, lavorate sui social media, createvi una immagine, createvi un seguito, createvi una dimensione all’interno del mondo musicale, perché purtroppo rispetto ad una volta, adesso conta più l’immagine che tu dai di te rispetto alla musica che suoni. Ovviamente si parte dal presupposto le canzoni devono essere interessanti, la musica ben suonata, ma questo non basta più. Purtroppo oggi una band deve investire tanto, tanto, tanto, tanto su immagine e produzione. Chi non lo fa è destinato purtroppo ad essere tagliato fuori. È triste, perché io vengo da una generazione nella quale non sapevamo chi suonava nei locali: sapevamo solo che un locale faceva metal… il giovedì; ad esempio al Ristoro, Oriago di Mira (VE), il giovedì c’era sempre metal, erano gli anni ’90, non ci interessava che band era sul palco, noi andavamo comunque a sentirla. Così scoprivamo delle band nuove, delle cose nuove. Adesso purtroppo non è più così, le nuove generazioni guardano i social, si appassionano alle band prima sui social e poi dal vivo… e quindi se una band vuole venire fuori deve fare questo passaggio obbligatorio. Se non lo fa, va contro i suoi stessi interessi.
MH: È un po’ il volantinaggio di una volta….
AT: Una volta c’erano i volantini ed il volantinaggio; facevamo le fotocopie e andavamo a tutti glii concerti metal per distribuirle. Adesso si fanno gli eventi facebook, se a uno piaci magari viene a vederti, è curioso…ma purtroppo parte tutto dall’avere un grosso, grosso, grosso investimento -anche economico- su immagine, produzione e sui social.
(Luca Zakk)