(autoprodotto) Questi ragazzi mi fanno impazzire. Sono l’assurdità dell’assurdità. Siamo in pieno territorio underground, ma -diavolo- questo CD è troppo ben confezionato… contiene pure gli adesivi. Poi siamo in piena era di comunicazione e le loro mail per contattarci hanno molto di fumato (sarà forse in linea con il post sludge che fanno?). Poi, visto che sono dei perfetti sconosciuti -manco loro sanno chi sono- mi leggo la sintetica, breve bio. Di solito mi arrivano biografie monolitiche, con storie complesse, avvicendamenti, fatti strani. La bio dei John The Void suona così (fatico a riassumere, l’hanno fatto già loro): “La band vede la luce nel 2013, e dopo vari cambi di line up si stabilizza. Il resto è disagio.”. Tanto disagio aggiungo io. Tanta sofferenza. La sofferenza che questi trentacinque minuti riescono a materializzare con sconvolgente cinismo, con immensa efficienza, con sapiente qualità. La sofferenza tipica del post metal, dello sludge… la tortura tipica del drone. Ispirati o riconducibili al sound di bands quali Isis, Make, Telepathy… creano un ottimo equilibrio tra violenza disperata ed atmosfera coinvolgente quasi rilassante, decisamente ipnotica. Dopo una introduzione elettrico-ambientale è “In Row” che delinea il sound coinvolgente della band: post metal isterico nel cantato growl e scream, ma possente ed incisivo nelle ritmiche, nella crudeltà lucida dei riff; le divagazioni melodiche ed atmosferiche alterano positivamente l’evoluzione della canzone, che è sempre capace di risultare attraente ma anche volutamente inospitale. “Quiescence” è uno dei pezzi migliori dell’EP: fedele alla scuola delle band sopra citate, inietta in quell’impostazione ritmica quasi narcotica delle dolorose ferite inferte dall’ottima performance del singer. L’elettronica si affaccia con effetti atmosferici, circonda il sound e lo conduce verso territori splendidamente drone. “The Reversionist” è morte totale: decadenza sonora, ritmiche lente -un post doom-, suoni che emergono dal nulla per poi morire, armonia piena di sentimenti oscuri, ancora drone, ancora sludge… ed un testo che descrive avvilimento, pura decadenza, risveglio da un incubo fatto di vita… direttamente in uno stato di morte. “Ascension” è più ricca di dinamismo, oscuro dinamismo, melodie e paesaggi sonori che emergono dalla ritmica ipnotica del drone, dalla tagliente crudeltà delle chitarre, dalla disperata impostazione vocale del singer. Una band strana. Stati d’animo che qui diventano pessimismo, sensazioni opprimenti. Una band molto strana: ai confini tra l’auto ironico/esilarante, il macabro e l’eternamente decadente. Geniali, capaci, creativi. Il tutto con quel salto nel vuoto. Quel disagio. Quel gusto del suicidio.
(Luca Zakk) Voto: 7,5/10