(Cruz del Sur-Audioglobe) A breve distanza dall’ep “Ten Years”, il Faraone di Philadelphia torna ad esprimersi attraverso la potente voce di Tim Aymar: “Bury the Light” è il quarto album della band americana, la cui musica è sempre facilmente riconoscibile grazie a un sound davvero personale e direi unico (almeno fra le formazioni in attività), sempre ostico al primo ascolto ma capace di radicarsi profondamente nell’ascoltatore che abbia la pazienza (e, perché no, le capacità) di sondarne le sfumature. Dieci le tracce in scaletta. “Leave me here to dream” ci offre le trame chitarristiche a labirinto che sono così caratteristiche della band: power us metal di classe e aggiornato con stile al nuovo millennio. Aymar, con la sua timbrica roca, è sempre graffiante e lo dimostra ancora meglio nella successiva “The Wolves”, up-tempo con un break strumentale che trasmette elettricità. Otto minuti di crescendo, rallentamenti acustici e aperture melodiche per “The Year of the Blizzard”, sicuramente uno dei pezzi migliori e più coinvolgenti e articolati che mi sia capitato di ascoltare in questo inizio di 2012. Solidissima anche “Graveyard of Empires”, con il basso di Chris Kerns spesso in bella evidenza. Ma il brano simbolo di questa band credo possa essere “The Spider’s Thread”, inserito a metà tracklist e poi ripreso in chiusura, che metterà d’accordo, con le sue pennellate maideniane, gli estimatori da una parte e dall’altra dell’Oceano Atlantico. Sicuramente non un disco per tutti ma dannatamente convincente.
(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10