(Autoproduzione) Approfitto di un viaggio di lavoro in Germania per procurarmi la nuova fatica degli Elvenpath, metalheads di Frankfurt: e ancora una volta, la quarta per essere precisi (tanti sono i loro full-“length”), mi stupisco della freschezza e della genuinità della loro proposta musicale. Osservando la copertina alla Blind Guardian (ma decisamente simpatica), passando per la produzione vintage (ma non troppo) e bilanciata di Uwe Lulis, e arrivando a considerare il minutaggio dei brani (il cd dura 69 minuti!), si comprende subito che gli Elvenpath rappresentano una concezione dell’heavy/power teutonico che sta lentamente scomparendo in favore di approcci più moderni e smaliziati… ma totalmente privi della magia dei tardi ’80 e dei primi ’90. Gli Elvenpath non sono filologicamente rigorosi come gli Helvetets Port (giusto per fare un nome), né sentono come indispensabile ripercorrere ogni passo dei loro beniamini… ma credono in quello che fanno anche più delle ‘solite vintage bands’: ogni brano è una piccola storia raccontata con passione, spesso ispirata a un libro o una serie tv, e va a comporre un quadro che è godibile e coerente anche nelle sue occasionali ingenuità. “Mountain of Sorrows” apre il disco con la più classica delle cavalcate NWOBHM oriented, mentre “Battlefield of Heaven” spinge verso il power tedesco, con un approccio abbastanza simile a quello degli Iron Savior, fra potenza e melodia. Solido il ritornello di “The Liars’ Dance”, dedicata ai politici di ogni nazione; “Testament of Tragedy” è invece una potente power ballad che si esalta nel finale a voci sovrapposte. “Wild Boars of Steel” (che comincia con i versi di un cinghiale…) è un inno priestiano, scritto per un club metal vicino alla band; conoscevo già il brano (in una forma leggermente diversa) grazie alla gentilezza del guitarist Till, che mi aveva inviato tempo fa il singolo. La conclusiva “On the Elvenpath”, che supera i tredici minuti, è aperta e chiusa da suoni d’arpa che rendono l’atmosfera decisamente folk, se non proprio alla Running Wild. Proprio per evitare di fare un panegirico a senso unico, ci tengo a precisare che un pezzo mi è piaciuto di meno a causa di qualche lungaggine (si tratta di “Sentinel of the Past”): ma questo mi conferma che gli Elvenpath sono una formazione da prendere o lasciare senza mezze misure. Io prendo eccome!
(René Urkus) Voto: 8/10