(Nuclear Blast Records) Dopo due anni ci risiamo. Lo dissi in occasione di “Circle” che ad ogni album dei finlandesi Amorphis io rimango in uno strano stato di attesa. In ansia. Band che adoro o adoravo fino alla dipartita del vecchio vocalist. In effetti la svolta avvenne con “Eclipse”, visto che Tomi Joutsen è in line up da ormai un decennio. Non nascondo che non ho mai veramente amato il nuovo singer: un po’ perché le sue divagazioni più death oriented che tolgono magia, un po’ perché interpreta i testi scritti da un altro (l’ottimo Pekka Kainulainen, quasi il settimo membro della band… ) e non dona vita alle sue parole. Però qualcosa deve essere successo questa volta: anche se “Under The Red Cloud” segue lo stile di “Circle” e dei precedenti da metà anni 2000 in poi, c’è una essenza che emerge, che si innalza. Una (mia?) percezione diversa. Qualche feeling che -finalmente- riporta gli Amorphis a quello che erano, restando quello che sono e, spero, delineando quello che saranno. Un ascolto non attendo rivela forse il “solito album degli ultimi Amorphis”, offrendo però degli spunti che, con un ascolto più intenso, portano ad una dimensione completamente diversa la quale dipinge scenari, rivela paesaggi e, forse per assurdo, materializza svariati momenti dove tra le poderose soluzioni di riff si apre una vista su laghi, su inverni, su magie appartenenti a foreste infinite, silenziose. Ci sono istanti di “Under The Red Cloud” che sembrano arrivare direttamente da “Tuonela”, da quel romanticismo vintage, pur rimanendo fedelmente incastrati tra le dure pareti di metallo rovente. Tomi Joutsen interpreta con nuova passione, con intensa passione… e regala a questo disco l’elevazione verso una dimensione… magica, ovvero la dimensione alla quale la musica degli Amorphis deve appartenere, almeno secondo chi li segue dagli albori, come il sottoscritto. L’aggressività viene canalizzata con intelligenza, diventando atmosferica ed altamente melodica, come si può percepire già dalla opener e title track. Immenso main riff della stupenda “The Four Wise Ones”, con un cambio appartenente al passato della band capace di condurre in un percorso potente, ma epico, sognante ma dominato da un growl privo di pietà, seguito da uno scream feroce il quale abbandona nell’intermezzo poetico, sciamanico, caratterizzato dallo stupendo flauto suonato da Chrigel Glanzmann (Eluveitie): una canzone fantastica, irresistibile, potente e violenta, emozionale ed atmosferica. “Bad Blood” conferma l’ascendente geniale dell’album, regalando una traccia avvincente dove la parte grintosa e growl si alterna ad qualcosa che conduce lontano, attraverso lande desolate, con un clean singing superlativo e teorie di chitarra decisamente suggestive. Fantastica convivenza tra violenza e dolcezza del flauto su “Death Of A King”, dove Tomi Joutsen canta, specialmente in clean, esprimendo sentimenti immensi, resuscitando le emozioni del predecessore. Molto folk l’impostazione di “Tree Of Ages”, ancora una volta con il meraviglioso flauto, riff tuonanti, melodie travolgenti ed un growl massacrante. Eccentrica “Sacrifice”, incisiva “Dark Path”, canzone nella quale si evidenzia nuovamente la doppia anima della band, quella violenta e quella atmosferica legata alla terra d’origine. Grande sorpresa sentire la magnetica voce di Aleah Liane Stanbridge (Trees of Eternity) sulla bellissima “White Night”, traccia conclusiva ma estremamente ricca di magia, sensualità ed emozione. Finalmente, e forse sono l’ultimo -o l’unico- posso dire che gli Amorphis sono veramente… tornati. Ci saranno voluti dieci anni, ma questo è il sound che mi aspetto dalla band di Esa Holopainen: un sound che cattura, che emoziona. Che fa sognare.
(Luca Zakk) Voto: 9/10