(Napalm Records) Conobbi questa band austriaca un paio di anni fa quando pubblicarono “Energia”. Fu una esperienza sconvolgente. Apprezzai la fantasia, la creatività. Pure il fatto che alcune canzoni erano schifosamente magnetiche, impossibili da dimenticare. Ricordo la massiccia barricata elevata tra loro ed il metal per come è genericamente concepito. Tutto ciò è sostanzialmente confermato anche oggi. Sono sempre in tanti, forse da mille nazionalità, e nella line up ci sono violino e fiati. Sono sempre “turbo-polka” e pure “hip-ska”. Ma cazzo che musicisti e, maledetto sia il loro nome, che album fantastico!!! Travolgente, schizoide, ai confini di qualsiasi genere, lontanissimo dalle dogane di tutti i generi. Perfino il multilingua di molte canzoni (c’è inglese, spagnolo, tedesco, lingue dell’est europeo….) è geniale, spesso forzatamente mal pronunciato, in un trionfo di ironia sottile ma tagliente. La mia cultura musicale extra-metal mi fa pensare a cose strane, mi passa per la mente un power-Manu Chao in versione schizzata. E questo, permettetemi, è brutalmente geniale, alto livello culturale, alto livello musicale. Tre quarti d’ora esplosivi, contro corrente, contro tempo, pestati, tirati, suonati, musicali, folkloristici, latini, balcanici, nomadi, freddi come il nord, caldi come il sud, politici, romantici, assurdi. Follia artistica che incanta, ipnotizza, scuote, prende in giro. Un treno che ti investe con la opener “Rock’n’Rooll Today”: potenza, ritmica, i fiati, un singing geniale e furioso. I Blues Brothers con tempo in levare sulla fantastica “Slap Your Face”, un pezzo vivo, pulsante, coronato da un refrain che miete vittime. Con “Hometown Polka” avrete bisogno di alcol. Molto. Suggerisco vodka. Liscia. Tutto ad un tratto la dominante polka-punk-ska lascia il posto ad un pezzo intimo, passionale: “There Was A Time” è una ballad che vorreste sentire dalla vostra hard rock band preferita… peccato (per voi) che qui non ci sono le tastiere sexy, ma un trombone superlativo! Politica deviata (da loro) sull’immensa “El Pueblo Unito”, un pezzo che deve essere capito (è in spagnolo), che fa penetrare un erotico (ma vagabondo) violino nel bel mezzo di un ritmo punk-ska privo di respiro. Giochino: la melodia è sexy ed attraente… ma provate a cantare “Lovegorod” (anche la sola fonetica…). Mentre ci provate godetevi i fiati. Per una volta spegnete il distorsore: la chitarra che ne rimane, se ben suonata, è quella di “Parachute”. Pazzesca la power-ballad ironica “Let’s Die Together (Mon Amour)”… c’è da impazzire, si accelera, si rallenta, è come l’amore… assurdo, impossibile… non resta che applicare il titolo alla lettera (e mentre spirate … wow, che chitarra!). “Salty Rain” è perversa, “You Are Revolution” è furiosa. “Radio Song” è la canzone per la radio definitiva … forse… (ma ricordate che questi sono i Russkaja…). La title track è lasciata alla fine. In chiusura. Praticamente una immensa lapide di marmo che cade addosso all’ascoltatore facendo un rumore infernale, con schegge di pietra che schizzano da tutte le parti ad alta velocità. Non è la fine, non è la morte, è solo terminato l’album: ma manca il respiro, nonostante il fiatone. Fa un caldo bestia, nonostante la pelle d’oca. Siamo verso nuovi lidi sonori, rimescolando le cose che tutti già conosciamo. Una tromba diventa metal. Il punk diventa ska. L’aggressività diventa ballabile. Non restate chiusi nei vostri confini sonori limitati dai vostri gusti (noti). I Russkaja azzerano i confini. Li annullano. Li polverizzano. Ci sono miei colleghi, su altre webzine, che hanno giudicato “Peace, Love & Russian Roll” un masterpiece. Voto massimo. Io non arrivo al massimo dei voti. Anche perché… non ci credo ancora.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10