Ritornati dopo cinque lunghi anni con un album strepitoso, i Sadist sono una delle realtà italiane più conosciute all’estero. Abbiamo quindi scambiato un po’ di battute con la voce del gruppo, Trevor.
Bene Trevor, ti diamo il benvenuto sulle pagine virtuali di METALHEAD.IT Spacchiamo un po’ il ghiaccio con delle domande prettamente tecniche… So che siete molto minuziosi nelle registrazioni dei vostri lavori. Cinque anni vi separano ora dal vostro lavoro precedente. Tutto tempo speso a comporre o vi siete semplicemente presi una pausa?
La promozione a seguito di “Season in Silence”, specie in sede live, è durata tre anni pieni, ci siamo trovati a fine 2013 in un attimo. In quel lasso di tempo abbiamo fatto due tour europei, molti festival in Europa e un paio di tour indipendenti nel nostro paese: pensare di trovare anche il tempo per buttare giù nuovo materiale era davvero impossibile. Credo che fare troppe cose contemporaneamente non sia producente; specie quando si parla di arte, bisogna avere la testa fresca. Una volta chiuso con i live ci siamo dedicati a scrivere nuove idee, questo a inizio 2014. Alla fine dello stesso anno, quando la stesura dei brani era in fase di definizione, ci siamo chiusi nei Nadir Music Studios e abbiamo dato il via alle registrazioni di “Hyaena”, da Dicembre 2014 a Maggio 2015. Cinque anni non sono un giorno, ma è pur vero che Sadist non è una band da un disco l’anno.
Come è avvenuta la nascita dell’album? Siete soliti lavorare assieme per la composizione o vi trovate piuttosto alla fine della fase creativa per mettere assieme i singoli apporti?
Sadist è una band costituita da quattro teste pensanti, ognuno di noi lavora duro, nessuno si risparmia. Il nostro è un lavoro di squadra. Le idee di partenza sono dettate da Tommy e Andy, anche se con il nuovo album è stato particolarmente importante l’apporto di Andy, particolarmente ispirato nella scrittura dei riffs. Mentre Tommy, Andy e Alessio si dedicavano alla musica io, lontano dal caos cittadino, ero immerso nel verde, in quello che di lì a breve sarebbe stato il concept legato al nuovo disco. Lavorare parallelamente è una buona cosa, la nostra musica è generata di conseguenza alle tematiche affrontate.
Lasciami dire che la copertina del vostro lavoro è stupenda, una delle migliori che abbia mai visto, in generale. Parlaci un po’ della sua nascita…
Grazie delle belle parole, sono molto felice. La cover e l’artwork sono frutto del grande lavoro di Luca Orecchia, un pittore molto stimato. Dopo aver spiegato al maestro le nostre intenzioni, lui ha illustrato noi le tele. Inutile dire che siamo rimasti parecchio colpiti, indi per cui non abbiamo voluto violentare in nessun modo le sue idee di partenza, sarebbe stato un errore fatale. Devo fare i complimenti anche a Manuel Del Bono, che ha curato l’impaginazione grafica in maniera impeccabile. Siamo soddisfatti di questo booklet, volevamo stare lontani dalle grafiche consuete di tutti i giorni orientando le nostre attenzioni su qualcosa di primitivo.
Non ti nascondo che nel recensire l’album proprio la copertina mi ha molto influenzato (positivamente). Sono uno che spesso, a torto o a ragione, giudica il libro dalla copertina. In questo caso non ho preso un abbaglio, considerando “Hyaena” il vostro miglior lavoro, forse non solo dalla reunion… L’idea del concept è nata prima o dopo la stesura dei brani? Te lo chiedo perché sento molto presente la componente “tribale” nell’intero lavoro. Cosa assolutamente voluta o nata in sede di stesura dei testi?
Ricordo gli anni ‘80: anch’io ero particolarmente influenzato dalle cover… fortuna che molte volte la bella copertina era accompagnata da buona musica, ad esempio “Reign in Blood” degli Slayer. Avevo questo concept in mente da tempo, ho fornito qualche idea di massima anche agli altri e di conseguenza è nata la musica, che segue un filo logico e conduttore. Tuttavia, per essere più credibili, necessitavamo di qualcuno che conoscesse bene tali sonorità. Per questo ci siamo avvalsi della collaborazione di Jean N’Diaye, percussionista africano, che ha aggiunto colore al disco. Infine Tommy ha studiato e imparato l’utilizzo di strumenti legati alla cultura mediterranea, come l’oud e il santur. Non volevamo lasciare nulla d’intentato, questa volta siamo andati a fondo, sia nei suoni che nei contenuti.
Stranamente, e lo ribadisco anche nella recensione del disco, non vi ho mai catalogato come un gruppo progressive metal. Molti vi accostavano ai Cynic o roba simile, ma per me siete sempre stati e rimasti semplicemente i Sadist. Per chi come me nella seconda metà degli anni 2000 iniziava a bazzicare nei concerti voi eravate “quelli dove il chitarrista suonava contemporaneamente le tastiere” … Non so, è come se nella mia testa foste più legati ai gruppi della tradizione italiana come P.F.M. e Le Orme più che alla musica fuori confine… Ti andrebbe di dirci quali gruppi vi hanno più influenzato nel passato?
Questo è un riconoscimento intelligente e attento. A volte infatti la tendenza è quella di riservare etichette casuali alla musica. Il nostro genere si può considerare Techno Death Metal, certamente; tuttavia, all’interno della nostra musica la matrice Prog nostrana è molto importante. Band come i Goblin, la PFM, il Banco, sono state molto importanti. I Cynic sono una grande band, tra l’altro di amici, ma è una band di coetanei, così come gli Atheist o i Pestilence. In tutta onestà preferisco pensare che abbiamo ereditato qualcosa dalla musica di casa nostra; fidatevi, anni fa nel nostro paese circolava buona musica. Infine, su Tommy che dire, lo conosciamo tutti molto bene: nel corso degli anni il suo duplice ruolo è diventato il marchio di fabbrica Sadist e noi tutti ne siamo molto orgogliosi.
Come si lavora con la Scarlet Records? Vi ha lasciato carta bianca? O per contro vi ha dato indicazioni o altro per la vostra release?
Conosciamo i ragazzi della Scarlet da diverso tempo, sono brave persone e amici oltre ad essere seri professionisti; insieme si lavora molto bene, nessuno di noi fa il battitore libero: sia loro che la nostra agenzia di booking (Live Nation) vengono informati ad ogni passaggio, la comunicazione in questo lavoro è molto importante. Inutile dire che tutti remiamo dalla stessa parte, l’obiettivo è uno solo e non c’è necessità di troppe indicazioni: tutti vogliamo portare il più lontano possibile questo nuovo album “Hyaena”.
A proposito di libertà espressiva… Ci vuoi parlare di “Lego”? Ti dirò la verità, non mi ha mai entusiasmato… Eppure, preparandomi per questa intervista l’ho riascoltato e, collocato quindici anni indietro, beh caspita: devo dire che suona comunque fresco anche oggi. Ti è piaciuta come direzione artistica allora intrapresa o è semplicemente per te l’album di debutto come cantante del gruppo?
Di recente un altro giornalista tedesco mi ha fatto la stessa osservazione. Credo che “Lego” avesse tutte le carte in regola per essere un buon album, assolutamente; ma è anche vero che tutti noi abbiamo peccato di ingenuità. Ad esempio, se invece di contenere 15 tracce avessimo scelto le 8/9 canzoni tra le migliori avrebbe avuto una risposta differente. Così come per la produzione, forse troppo compressa e soffocata.
Bisogna imparare dagli errori e grazie anche a questo siamo tornati più forti e vogliosi di prima. “Lego” non è stato il mio album di debutto: da vent’anni sono la voce dei Sadist, il mio primo disco registrato è stato “Crust”.
I vostri live sono belli potenti. Se ho buona memoria devo avervi visti una decina di volte, mi pare anche di supporto agli Iron Maiden… Non male devo dire avere tali riconoscimenti del tuo lavoro anche in panorami non italiani… il che mi porta alla domanda più triste: come mai in Italia un gruppo come il vostro non sfonda, se non altro nella misura in cui realmente meriterebbe? Insomma, come vedi la realtà musicale Metal in Italia?
Con gli Iron Maiden allo stadio Olimpico di Roma sono passati quasi 10 anni. Ricordo bene quel concerto, era la giornata più calda dell’anno. Ormai sono un vecchietto e anche in tenera età ero molto realista, nessuna illusione. Il nostro è un paese mediterraneo: il Metal in generale ha fatto maggiormente presa nei paesi anglofoni. Poco male, cercheremo di essere così bravi da farci apprezzare all’estero. La cosa è davvero bizzarra: ci sono ottime realtà Hard ’n’ Heavy, giovani e meno giovani; l’underground e il sottobosco sono molto attivi, ma di questo a nessuno importa… andiamo avanti con il finto pop o peggio ancora con improbabili rockettari dell’ultima ora.
14 luglio 2006: questa data ti ricorda qualcosa? … Un aiutino dai: Toscolano Maderno (VR)… Terzo indizio: Evolution Festival… esatto! The Famili. Posso dire: “Io c’ero!”. Mi ricordo il tuo arrivo sul palco (vestito da clown psicopatico, con tanto di motosega in mano, ndr). Ti va di parlarci di quel folle progetto? Un terzo album o devo mettermela proprio via?
È davvero difficile dimenticare quel giorno. Per Sadist rappresentò il primo concerto dopo la reunion, la data del ritorno, emozioni pazzesche, indelebili. L’Evolution Fest: l’edizione del 2006 era divisa in tre giorni, ricordo che il venerdì ci fu anche l’esibizione di The Famili. Lo show, come di consueto, era spaccato in due; un tributo a due personaggi storici dell’horror, Leatherface di “Texas Chainsaw Massacre” e Pennywise di “IT”, tra motoseghe, grembiuli insanguinati, maschere di cuoio e parrucche da sadico clown. The Famili era un progetto divertente. Nei quattro anni di pausa riflessiva con Sadist le nostre energie furono dirottate altrove, ma in tutta onestà siamo sempre stati molto realisti: se la macchina Sadist si fosse rimessa in moto, di conseguenza tutto il resto si sarebbe dovuto fermare e così è stato.
D’accordo Trevor. Grazie mille per la disponibilità. Ti chiedo un’ultima cosa: saluta i lettori di METALHEAD.IT come solo tu sai fare! Ci vediamo rigorosamente davanti al palco!
Grazie a te e a tutto lo staff di METALHEAD.IT… Presto ci vedremo on stage, siamo desiderosi di condividere il nuovo album “Hyaena” con il nostro pubblico, la nostra gente. Un abbraccio a tutti i lettori di METALHEAD.IT e come sempre… IN ALTO IL NOSTRO SALUTO!!
(Enrico Burzum Pauletto)