(Eastworld Recordings) Il primo album degli Hawkwind è del 1970, cioè 42 anni fa: si resta senza parole a sapere che Dave Brock, ormai da anni ultimo rimasto, porta ancora avanti questa creatura spaziale che ha donato alla musica album indimenticabili. L’ultimo lavoro è stato il buon “Blood of the Earth”, nel 2010, ma questa nuova prova riesce ampiamente a superarlo. “Onward” è costituito da 2CD e la musica contenuta è davvero magnifica, in quanto riesce a cristallizzare in se il tipico sound degli Hawkwind (si, ok: quello degli ultimi 20 anni almeno), grazie anche alla rassicurante e abituale voce di Brock e della sua chitarra, ormai riconoscibilissima nel suo tipico suono. Tuttavia sopravvivono elementi moderni e configurazioni musicali che hanno progredito la dimensione dello space-rock degli Hawkwind. “Seasons” è l’apertura rovente e dura come metallo che piove sulla terra. Intrico di suoni e ruvide evoluzioni melodiche frammentate. Finalmente segue “The Hills Have Ears”, folle corsa di 5′ con una chitarra piombata all’improvviso dal passato, ovvero quella dell’ex Huw Lloyd Langton. Che gradito ospite, anche se il resto degli strumenti quasi lo travolgono. “Mind Cut”, brano intimista, la chitarra elettrica che fraseggia a intermittenza, mentre voce e acustica raccontano. “Death Trap”, la conosciamo già, ma gli Hawkwind di tanto in tanto hanno sempre riproposto qualche loro vecchio cavallo di battaglia. Rifatta con elettronica a irrobustire la melodia e la base ritmica, sembra una canzone scritta proprio durante queste sessions di studio. “Southern Cross” è un intrico ambient, con synth, elettronica sparsa, sequencer, suoni spaziali e psichedelici, percussioni per oltre 6′. Fa tanto relax-music, ma con la differenza che questi sono gli Hawkwind e te ne accorgi. Tra i brani strumentali figurano anche “The Drive By”, altro leggiadro e allo stesso tempo psicotico esempio di musica ambient atemporale, con suoni che superano ogni genere e fertilizzano la mente. “The Prophecy” riprende quel gusto per gli Hawkwind nel voler sviluppare canzoni semplici, metodiche e intrise di melodie e ricerca. Quei synth finali creano qualcosa alla Genesis. Il secondo disco si apre con “Computer Cowards”, brano cupo, giocato sui ritmi, sul pompaggio del basso, le lacerazioni della chitarra e le voci sovraincise. Sostanzialmente è quel tipo di psichedelia (inglese) che si faceva ai primordi, la quale sembrava un frullato di tutto. Ricorda alcuni pezzi di Sun Ra, ma qui non c’è il sassofono. “Right to Decide”, “Aerospace Age” e “The Flowering of the Rose” sono pezzi già noti e figurano come bonus track registrate dal vivo con Jason Stuart (tastierista, deceduto nel 2008). Seguono tre pezzi decisamente troppo brevi: dei semplici riempitivi e in parte anche esercizi di stile. Graziosa, eterea, sognante e stellare la conclusiva “The Mystery Track”, synth su synth che si stratificano e si ammorbidiscono in un fiume galattico. Dave Brock, con l’ausilio del tastierista Tim Blake (entrò nella band nel 1979, poi andò via e dal 2007 è di nuovo nella band) e altri eroi del suono, concepisce un’opera magistrale, soave e cerebrale. Come sempre il falco del vento vola attraverso l’universo, mai stanco e sempre bellissimo.
(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10