(Omnipresence Productions) È sempre una cosa complessa mettersi in relazione con l’arte di Mortiis, il quale ormai vicino alla decina di album continua in contro corrente, diverso da tutti, contrario a tutto. A ben sei anni da “Perfectly Defect”, “The Great Deceiver” è un’altra sorpresa, un altro tassello nel complesso puzzle dell’artista norvegese il quale ci ha abituato alle stranezze e alle divagazioni assolute. Senza fare confronti con le release precedenti, cosa che in questo caso ha poco senso, il nuovo lavoro è semplicemente fantastico. Ok, i puristi del metal non lo sopporteranno (ma probabilmente non seguono Mortiis da moltissimo tempo, forse dagli inizi)… ma chiunque abbia la mente aperta, un gusto per tutto ciò che è potente ma anche industriale, loopato, pieno di basi pop, ricco di ispirazioni noise… allora “The Great Deceiver” è quasi un’ora di puro, intenso, mostruoso, letale piacere. “The Great Leap” apre senza pietà. È violenta, rumorosa, cattiva… ma in chiave digitale e non di metallo low fi… anche se concettualmente stiamo parlando della stessa cosa espressa in modo diverso. Quanto può risultare dolce un riff heavy suonato con strumenti classici? E quanto può risultare synth-industrial un riff metal prodotto con elettronica spinta al massimo? È questa la chiave di lettura di questo album, la geniale capacità di rendere elettronico (coprendo territori synth, shoegaze, industrial, pop, dark e un altro migliaio di sottogeneri) l’elemento centrale del metal, del rock e, perché no, anche del black nel quale risiede l’origine di questo eccentrico artista. Assurdamente ottantiana (sia per l’elettronica che per il riffing) “The Ugly Truth”. Nu metal digitale sulla fantastica “Doppelganger”, mentre emerge un ulteriore livello di genialità su “Demons are Back”, un mid tempo maledettamente oscuro, superbamente ritmato e ricco di intensa melodia. Impossibile, per noi italiani non pensare ad una certa epoca dei Death SS ascoltando la bellissima “Hard To Believe”, pezzo coinvolgente che precede l’immensa oscurità della meravigliosa “Bleed Like You”. Inquietante “Road To Ruin”, travolgente “Scalding the Burnt”, esaltante “The Shining Lamp of God”. Un’altra traccia di livello superiore è sicuramente “Sins Of Mine”: melodia immensa annegata in una inospitalità digitale ricca di pulsazioni, mentre il singing dark wave rapisce la mente, stuzzica le sensazioni. Quasi dance psichedelica “Feed The Greed”, la quale precede il gran finale rappresentato dalla schizofrenia pop di “Too Little Too Late”. Immensa oscurità torturata da frenetici lampi digitali. Decadenza, tortura, temi oscuri… un concentrato di confusione mentale. Vita ansiosa, rabbia intensa, odio ancestrale uniti in una esplosione sonora progressiva, futuristica, post nucleare. Ecco, è proprio il sound del post-olocausto. La musica del post-fine della vita che conosciamo. Una perfetta colonna sonora per descrivere l’infinita ed inarrestabile decadenza umana.
(Luca Zakk) Voto: 9/10