(Nuclear Blast) Al Jourgensen è stato genio e sregolatezza, poi negli anni è diventato genio e strafottenza, intesa come una cronica e acerrima voglia di andare contro il sistema, oltre all’allontanarsi dall’innovazione che lo ha contraddistinto per anni, a beneficio di un inasprimento del sound e di una ossessiva ricerca della velocità. I Ministry (la sua precedente creatura che ha rivoluzionato una parte del metal e non solo) per diciotto anni, almeno fino a “Dark Side of the Spoon” sono stati un’entità capace di rivoluzionarsi album dopo album. Al e Paul Barker (che lasciò Al nel 2003) ci diedero dentro in quel circa ventennio per trasformare il verminoso sound della new wave in una farfalla d’acciaio e titanio rilucente di sostanze tossiche che da “Animositisomina” in poi sono state l’esempio di un metalcore/industrial estremo, violento e caciaro. “The Last Sucker”, “Relapse”, “From Beer to Eternity” hanno poi smussato questo nuovo e ultimo corso dei defunti (forse non più) Ministry. Il metal irruento e pazzo è stato livellato, veicolato in canali più controllati eppure sempre al di sopra della media. Al Jourgensen con questo nuovo progetto assemblato nel proprio studio e con il solo aiuto di un tecnico, Sam D’Ambruoso, ripesca sicuramente del materiale che stagnava in qualche cassetto e con un lavoro certosino di taglia e cuci (da William S. Burroughs avrà pure imparato qualcosa) e di fiuto innato nel vedere e sentire come diverse parti possano essere un insieme unico e logico, ecco che spara addosso a tutti un lavoro interminabile. Ok, sono solo 40′ eppure questo fuoco incrociato di suoni, pattern ritmici incasinati e distruttivi, chitarroni tossici e fragorosi, voci su voci e suoni vari, prendono forma in un percorso sonoro che spiazza e spazza via il cervello. L’album da la sensazione di essere suddiviso in almeno tre parti stilistiche. Siamo alla presenza di rumorismo o dadaismo illogico (ascoltare l’eloquente “Unlistenable”, rumore insensato o un vacuo esercizio di stile?), Al Jourgensen mette insieme una logica conseguenza di suoni concatenati che riprendono l’essenza dei Ministry, l’ironia dei Revolting Cocks, il nichilismo dei Lard e di ogni cosa lui abbia fatto, fracassando con sana, totale ed entusiastica strafottenza le orecchie dei metalhead di ogni latitudine. Trova la voglia e il genio di produrre qualche canzone accattivante, come l’incipit di “I Want More” che sembrano gli Slayer rivisti (rimixati?) da Al Jourgensen. La soave schizofrenia di “I’m Invisible” che sembra qualcosa tra il rock garage e i Beatles hippies, oppure “Gates of Steel” e “Spudnik” che strizza l’occhio ai Sex Pistols, ma che alla fine è sempre quella totale e goliardica gran presa per il culo di Al. C’è da capire poi se la presa in giro è verso gli altri o se stesso. Non un lavoro fondamentale, ma almeno ci ricorda che Al esiste ancora.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10