(Massacre) Il prestigio dei Lonewolf è qualcosa che si proietta sempre verso valori di grandezza. Nuova opera, l’ottava, di una narrazione che si è dimostrata sempre di una certa qualità. I francesi da un certo punto di vista risentono continuamente della scuola heavy/power tedesca (come già espresso QUI per il precedente album), ma si avverte comunque la sensazione di una radice genuinamente heavy la quale aleggia nelle composizioni di “The Heathen Dawn”. Del resto tale è il sound dei Lonewolf: un festoso, fiero, epico e altisonante heavy metal. La maideniana (a causa del riff portante, ma non è l’unica ad esserlo) “Wolfsblut” apre l’album dopo l’intro, mentre la seguente “Demon’s Fire” registra un passo guerrafondaio. Via poi verso un qualcosa sempre spedito e avvincente. Trovano posto anche momenti meno travolgenti, dettati da un mid e low tempo insinuante, come per “When the Angels Fall”, oppure da un carattere neo-viking come per la title track che magri in sede live si celebrerà in futuro come un inno. Undici canzoni, più altre due presenti nella versione digipack dell’album, le quali colmano la misura di un lavoro non innovativo, ma ampiamente fragoroso nei suoni, nella potenza evocativa delle melodie e in ogni passo proposto dalla band. Unica riflessione concessa: cosa accadrebbe se la band al posto della voce roca di Jens Börner, anche chitarra, ne avesse una più nitida e dalle tonalità importanti? Per ora le cose vanno comunque bene così.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10
(Massacre) Se “Cult of Steel” mi era sembrato un disco di spessore (QUI), onestamente non mi sento di dire lo stesso di “The heathen Dawn”, che è nientemeno l’ottavo full-“length” degli inossidabili francesi Lonewolf. Intendiamoci: nulla di brutto o poco riuscito negli undici brani in scaletta (tredici nella versione digi), ma mi sa che invecchiando sto diventando sempre più critico nei confronti di questi album che sembrano un po’ prodotti in serie… “Wolfsblut” è la più classica cavalcata in stile Running Wild, con un refrain incalzante sostenuto dal vocione di Jens Börner; ancora più ritmata e quadrata, con tutte le caratteristiche dell’inno da cantare live, “Keeper of the Underworld”. Belli gli accenni speed di “Demon’s Fire”, sprazzi di epica nella stentorea “Until the End”; martellante “Into the Blizzard”, mentre la conclusiva “Song for the Fallen” si lancia in progressioni maideniane che hanno comunque una certa epicità. Però è tutto già sentito… per chi non vuole sorprese, nel bene come nel male.
(René Urkus) Voto: 7/10