(Fuel Records) E poi pensi che i Dark Lunacy hanno quasi vent’anni di carriera e cominci a sentirti inesorabilmente vecchio… Eh si, sei album in saccoccia in quasi quattro lustri di attività e una media qualitativa davvero invidiabile. Soprattutto impressiona riascoltare album come i primi due lavori dei nostri, oggi visti col valore del tempo come pionieristici in ambito italiano di quel Death Melodico che poi è resistito fino ai giorni nostri. Personalmente ho sempre apprezzato il loro tenersi fuori dagli schemi, restando di fatto un gruppo con un proprio peculiare suono che ne contraddistingue il carattere. Mi ero fermato a quel “The Day Of Victory” che un po’ secondo me cominciava a risentire di una formula ormai obsoleta, fermo restando che la qualità era indubbia. Certo è che nella mia personale scala di gradimento, “The Diarist” ha rappresentato non solo il loro migliore album, ma uno dei cinque migliori dischi del 2006. E appunto, con questi presupposti il mio timore era che i Dark Lunacy diventassero come ‘quelli che fanno Death con influenze russe’… Niente di più confortante quindi è giunto alle mie orecchie ascoltando la loro ultima fatica. “The Rain After The Snow” si discosta da quanto fatto finora pur mantenendo un marchio di fabbrica ben preciso. La sensazione che ormai la formazione si sia ridotta a due sole menti creative è molto forte (il bassista ha scritto l’opera, il leader Mike Lunacy l’ha magistralmente interpretata), ma la vedo essenzialmente come una caratteristica positiva e peculiare. E allora, detto ciò come suona l’album? Beh, c’è innanzitutto un parziale ma deciso ritorno alla magniloquenza e alla decadenza dei primi lavori, anche se portati ad un livello superiore grazie ad anni di esperienza e strutture canzoni comunque elaborate. Il minutaggio medio è stato snellito a favore di una fruizione più immediata dell’opera, fatta solo di tracce decise e robuste, senza alcuna presenza di riempitivi. Il lavoro di scrittura, veloce se si considera che l’album è nato a due anni di distanza dal precedente, ha sfruttato bene il poco tempo a disposizione creando quello che a tutti gli effetti è il miglior album del combo proprio da quel “The Diarist” prima osannato dal sottoscritto. Bellissima ed efficacissima la presenza di un corposo coro che enfatizza l’epicità e per contro la decadenza delle varie tracce. Immancabile la bellissima ugola del leader, ormai anfitrione di ogni loro album. Una certezza ritrovata, questi Dark Lunacy, che hanno dato la sensazione di aver incominciato una nuova e ispiratissima fase della propria, si spera ancora lunga, carriera.
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 9,5/10