Terzo ed ultimo giorno a Bergen.

Mi sveglio con la neve. Dopo due giorni di sole incredibile (con la gente locale incredula) arriva finalmente la neve. I tetti sono imbiancati. C’è un qualcosa di magico nell’aria. Il profumo. La luce. L’atmosfera surreale.

La proprietaria del B&B (una stupenda stanza in una casa antica, in legno, restaurata e arredata con gusto artistico) è la mia fonte di informazioni. Le rivelo la mia intenzione di visitare la famosa e famigerata Fantoft Stave Church.

“Ma lo sai che non è la chiesa originale?”
“Si, certo, l’hanno ricostruita…”
“Si! Fu bruciata da un satanista…”

MA DAVVERO? MA VA! NON CI CREDO CAZZO!

Esco tra la viette. I decessi del giorno prima hanno decimato la spedizione, la quale comprendeva in origine tutti i The Monolith Deathcult, band e crew, ed i Darkend già arrivati (il resto di questi ultimi arrivava nel pomeriggio). Ma tra tutta questa gente siamo in pochi ad avere ancora la capacità di respirare: io nel ruolo di inviato di METALHEAD.IT, Michiel Dekker, Christian (l’avido incaricato del merch!), la manager dei  TMDC , Animæ e Valentz per i Darkend.
Io ed i TMDC prendiamo il tram (Informazione turistica gratuita #1: BYBANEN, linea 1, se vi interessa) quando i due Darkend si stavano ancora vestendo (con frequenza di ogni 10 minuti, ci saremmo incontrati alla meta). Un momento prima di comprare i biglietti Michiel decide di non seguirci: “non sono interessato a bruciare chiese stamattina”. In verità si stava ibernando con il giubbotto in pelle, mentre io e gli altri eravamo abbigliati in stile esplorazione artica.

Arriviamo alla fermata “Paradis” (quella dopo Fantoft), in quanto mamma oca (la manager dei TMDC, la nostra guida spirituale ed alcolica) grazie ai suoi contatti di alto livello (un amico tossico che vive a Bergen) sa benissimo, ed ha ragione, che scendendo a Paradis si arriva subito alla chiesa (Informazione turistica gratuita #2: scendete tal tram, salite la scala grande parallela ai binari, sulla vostra destra, in cima girate a destra, poi seguite i cartelli, 5 minuti e arrivate).

È una emozione. Quel posto è una meta di migliaia di blacksters. L’edificio è chiuso (si può entrare solo da primavera ad autunno), recintato, pieno di telecamere… e il cartello “Vietato Fumare” sul cancello mi uccide dal ridere.

Si inizia con una serie di scatti demenziali: foto con accendino in mano e chiesa dietro, croci e crocette rovesciate fatte con pezzi di legno trovati per terra, facce cattive, posizioni degne del migliore Abbath… ridendo come ragazzini, mentre la temperatura dei nostri corpi scendeva e di molto sotto la soglia di guardia (infatti nevicava e c’era pure un vento della madonna… o di lucifero…. visto il posto… non so, scegliete voi).

Ci raggiungono i due Darkend. Grazie al mio perverso suggerimento e considerando che la manager dei TMDC è anche fotografa, l’ovvio ed impensabile diventa terribile realtà. Qui potete farvene un’idea… il resto ve lo lascio immaginare. Prima o poi le foto ufficiali circoleranno per la rete.

Finito il rituale si torna tutti ai rispettivi giacigli. Tradotto: doccia calda, caldissima, e tre litri di caffè bollente… (hey, black metal e foreste innevate fin che volete, ma cazzo faceva un freddo bestiale… e noi mica siamo norvegesi!). La neve intanto si è convertita in pioggia… e no, nessuno aveva un ombrello in quanto sarebbe stato inutile con quel venticello “primaverile”. Eravamo infreddoliti, bagnati, ma le varie preghiere a satana e satanassi vari ci hanno tenuto in vita.

Alla sera io ho un appuntamento:

L’USF VERFTET è un posto pazzesco, bellissimo, organizzato alla perfezione. Ritiro il mio pass ed accedo alla venue.

 

Con precisione nordica, alle 19:45 salgono sul palco degli esplosivi Vulture Industries. Show devastante, nel quale il front man Bjørnar Nilsen dimostra la sua geniale pazzia, coinvolgendo il pubblico, andando tra il pubblico, facendo cose pazzesche (come smontare un Marshall ed usarlo come piedistallo per cantare da più in alto!). La sua band dimostra ancora una volta un elevato livello tecnico che nell’avant-garde del loro sound viene evidenziato a massimi livelli.

Con altrettanta precisione nordica, Devin Townsend Project va in scena alle 21:00. Luci da stadio. Un boato pazzesco … lui sorridente ed immediatamente connesso con il pubblico. Uno spettacolo gigantesco, con un’energia estrema, una autentica forza della natura.

Mi ci vorranno secoli per gestire il milione di foto scattate… prima o poi le vedrete.

La serata poi, ovviamente, finisce di nuovo al Garage. Ci sono tutti. Le bands, la gente che come me era li per il Blastfest. Torna Gaahl. Tornano altri personaggi noti della scena. Il locale sta per esplodere. E tutti sono euforici… e schifosamente ubriachi!

Bergen è il metal.

Se ti vesti come il tuo idolo sul palco, in giro per Bergen sei OK. Nessuno ti giudica. Sei tra i tuoi simili. I quali sono tanti. C’è un’energia in quella città che è difficile da descrivere. È pulita ed ordinata come tutte le città nordiche, piena di regole strane (per esempio non puoi bere alcol per strada), ma la vibrazione della gente che vuole divertirsi è intensa, la potenza della notte è travolgente e quella fratellanza metal così avvolgente che la percepisci camminando per strada, quando incroci una persona con quella maglia o quella toppa, o quel look… e nel fugace scambio di sguardi ti rendi conto che vi siete già detti tutto, avete capito tutto, c’è un’intesa frizzante.

Poi questi giorni sono stati una babele di lingue ed origini. Occhi, pelli e capelli di tutti i colori. Accenti di tutti i tipi e di tantissime varianti.
Ad ogni incontro il primo approccio non era un patetico “cosa ascolti” (che tanto è sicuramente dentro QUEL range), o un “che ci fai qui di bello” (in quanto ovvio alla radice): la domanda era “da che paese vieni”? E con questo sono nate amicizie. Dopo cinque minuti di dialogo in inglese approssimativo o meno ti rendi conto di provenire dalla stessa nazione dell’altro, oppure capisci che vicino a casa sua ci sei andato in ferie una decina di volte, oppure vieni semplicemente dalla nazione confinante e magari con tre ore di macchina potete trovarvi nuovamente per una birra senza dover volare fino in Norvegia.

È domenica. Scrivo quanto sopra e quanto segue dall’aeroporto di Amsterdam.

La festa a Bergen è ancora accesa. Stasera al Garage ci sono Enslaved e Darkend. Sarà una figata pazzesca.

Ho lasciato la città questa mattina prima dell’alba. Una città ancora addormentata (dopotutto è domenica). Tra le nuvole un’ipotesi di sole, forse un altro giorno luminoso, ma sicuramente imprevedibile e variabile. Imprevedibile come Bergen. Una città dinamica. Non grande ma nemmeno piccola. Moderna ma maniacalmente tradizionale. Una metropoli con la dimensione di un villaggio, un villaggio con la mentalità di una metropoli.

Lascio Bergen con malinconia.

È come se avessi lasciato una parte di me tra quelle viuzze, in quei locali dove sei amico di tutti per il semplice fatto che se sei li sei “dei nostri”.
Ripenso a questi tre giorni. All’euforia. Alle battute dementi con gli olandesi. Alla gente mai incontrata prima che avevo nel mio volo di andata e che poi ho ovviamente rivisto nei locali. Penso all’altro fotografo accreditato all’USF, con il quale ho condiviso con intesa professionale l’area davanti alle transenne. Penso alla passeggiata in solitaria in quella natura che vedete ritratta in decine di copertine di album black metal. Penso ai fiordi e alla loro magia che ha il gusto della stregoneria. Penso alla gente che forse rivedrò un giorno, o forse mai più (è così che funziona, che ci piaccia o meno). Decine, centinaia di immagini che mi passano davanti agli occhi. Centinaia di dettagli e piccoli ricordi, quelli che ora mi danno tristezza ma che tra qualche giorno mi faranno sorridere, quelli che ora non focalizzo ma che mi torneranno in mente nel prossimo futuro.

Penso all’amicizia. Penso a momenti ed istanti che già appartengono al passato e che li rimarranno con la loro eterna bellezza, perché sono esistiti in quel contesto, in quel dove, in quel quando. Penso a cose uniche.

E la malinconia mi invade, prepotente. Una malinconia che mi fa sentire vivo.

Non sono norvegesi, ok, ma in cuffia ho l’album “I döden” degli Skogen. Quei suoni descrivono perfettamente le mie emozioni. Esaltandole in maniera esagerata.

(Luca Zakk)