(Napalm Records) Dopo un EP nel 2017, hanno finalmente debuttato la scorsa primavera con questo album, ed ancora se ne percepiscono le tremende vibrazioni, tanto che -a mesi di distanza- non ho potuto resistere. Emergono con fragore dall’underground danese e fendono l’etere con un black metal incisivo, favolosamente allucinante, ma anche legato ad un rock il quale mi ricorda remotamente le sonorità taglienti di bands quali Black Book Lodge, ma annegati da gelide acqua, soffocati da nebbie sulfuree, massacrati da una decadenza senza limite, quasi cinicamente depressiva… andando ben oltre ogni confine dello sludge. Subito drammatica ma esaltante “Tyndere end Hud”: trame black incalzanti che si alternano a evoluzioni post metal, dando spazio a riff eccitanti i quali potrebbero appartenere a qualsiasi genere… o forse a nessuno. Ma è “Sjælstjæler” il brano che accompagna verso la dannazione: arpeggi ed atmosfere post, un crescendo dark rock prima di un’esplosione in chiave depressive, con vocals sofferte sottomesse ancora ad arpeggi colossali, lasciando progressivamente spazio ad un riff poderoso, travolgente, pulsante, un riff al quale è impossibile rimanere indifferenti. Apre con sentore apocalittico “Skarntyder“, annegando riff di matrice classica un’arrogante groove tetro, pregno di malvagità ed interrotto solo da un altrettanto tetro intermezzo affidato ad un inquietante linea di basso. Lenta e funerea “Rød Glorie”, prima di un finale dal crescendo minaccioso. Acida e destabilizzante “Sortfugl”, canzone ricca di cambi nei quali emergono immensi spunti progressivi, linee di basso calde, chitarre clean dall’indole crudele, verso un epilogo trionfale prima, devastante poi. La prima parte della title track, lenta e melodica, strizza l’occhio al virtuosismo, prima di abbandonarsi senza pietà a rabbia, a furia, a crudeltà disumana, tornando poi all’apertura priva di seguire un sentiero conclusivo pericolosamente malvagio, prima del viaggio nel cosmo con l’ambient surreale della conclusiva “Alle Renses”, quasi la malinconica sigla di chiusura di un viaggio perverso attraverso labirinti incompatibili con la luce e con la vita. Con un moniker (parentesi-zero-parentesi) che riassume un concetto di nullità assoluta, questo quintetto danese rivede il black metal iniettandoci sentori di Norvegia, di Svezia, di Francia, di Portogallo, di funeral doom, drone, post black e pure di black proveniente dai paesi dell’est, il tutto in un contesto ricco di idee prog, melodia, cadenze funeree e una creatività personale marcatamente identificativa. Un’opera che appartiene all’oscurità più pura, capace di evocare agonia dentro atmosfere catartiche. Sette brani che sbocciano come dannati fiori del male, confondendo con la loro fragranza mortale, ipnotizzando con la loro bellezza tossica.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10