(Season of Mist) C’è tanta furia nel nuovo album di Abbath. Un vento gelido, una tormenta che soffia impetuosa spazzando via tutto quello che incontra, senza ritegno, senza rispetto, senza prendere prigionieri. Trentanove minuti di tempesta black metal, ormai dimenticando certi groove lenti ed epici degli Immortal -i quali rimangono comunque ben ‘presenti’ nei testi- dando l’assalto con rabbia disumana, in un turbinio sonoro irrespirabile che lascia molto poco spazio a pace e tranquillità di qualsiasi sorta. Subito impetuosa “Acid Haze”, seguita dall’altrettanto nervosa “Scarred Core”. Interessante la chitarra acustica che introduce a “Dream Cull” portando poi ad un pezzo nel quale il tremolo taglia l’etere come una lama mortale, il tutto in un vortice di pulsazioni tuonanti. Apparentemente meno tirata ma maledettamente minacciosa “Myrmidon”, pezzo che poi esplode in qualcosa di veramente paragonabile alla versione black dei Motörhead. Riff isterici su “The Deep Unbound”, tumultuosa ed infinitamente oscura “Septentrion”, intensa “Trapped Under Ice”, cover del brano dei Metallica dall’album “Ride the Lightning”. Intimidatorio e piena di grinta “The Book of Breath”, pezzo che nella seconda parte diventa più tetro, più introspettivo, prima della conclusiva e criptica title track, il pezzo più distintivo, ricco di cori, un brano nel quale il marchio di fabbrica di Abbath appare più evidente, più legato alla tradizione. I cieli squarciano. La terra si apre con violenza, tracciando profondi crateri che lasciano fuoriuscire le alte e fiere fiamme degli inferi. Non dimentichiamoci che tutto è partito da qui… dagli Old Funeral, dai Bömbers, dai leggendari Immortal, capitolo essenziale del black nordico, passando per ‘I’ nuovamente con Demonaz: Abbath la band, Abbath l’artista.. e giù, fino alle origini del genere, fino all’essenza della maggior parte delle ormai innumerevoli odierne varianti di black metal .
(Luca Zakk) Voto: 8/10