(Iron Bonehead Productions) Ottavo dissacrante cerimoniale, un ulteriore peccato capitale, ennesimo girone dell’inferno per gli italiani Abhor, un gruppo che prima di essere una band è certamente una congrega di studiosi di arti esoteriche, i quali esprimono la loro forma artistica sonora con questo loro particolare stile, a cavallo tra il black metal ed il doom più occulto, quest’ultimo in linea con quello degli Abysmal Grief, guarda caso una band con la quale gli Abhor hanno pubblicato uno split pochi anni fa (recensione qui). Sesso. Sesso. Sesso. E Sei. Sei. Sei. Due concetti tanto complessi quanto chiari ed espliciti. In questo album c’è un fervente incedere perverso, una sensualità funerea nella quale il piacere della carne viva diventa lentamente erotismo di carne morente, di ferite che si infettano, di sangue che sgorga. Titoli come “At the Edge of the Circle”, “Ode to the Snake”, “Ritual Satanism” o “Violet Coven” non lasciano spazio all’immaginazione mentre, contemporaneamente, la alimentano con forza e misticismo. Tra organi liturgici e black metal vecchia -vecchissima- scuola, tra un folle inneggiare al divino ed un languido abbandonarsi alle tenebre più imperscrutabili. Tra l’odore eccitante dello zolfo e il tanfo malsano della putrefazione. Maledettamente teatrali. Infernalmente inquietanti. Da non ascoltare in solitudine, in cuffia, al buio o sotto l’effetto di qualsivoglia sostanza, legale o meno: la cosa potrebbe risultare mostruosamente fatale!
(Luca Zakk) Voto: 8/10