(autoproduzione) «S’accabbadóra, letteralmente “colei che finisce”, indica una donna che pone fine alle sofferenze di persone in condizioni di malattia grave», è la spiegazione che si legge in un canale ufficiale della formazione sarda, la quale esordisce con un album che sposa sonorità black metal con folklore sardo. Ecco una proposta che esula da vichinghi, norreni e popolazioni, miti e leggende del Nord Europa. La Sardegna, isola perduta nel tempo, una storia antichissima, lo scenario che nutre la musica di “De Sanguni Tintu”, album nato dopo qualche anno di assestamento per le diverse formazioni. Un passo importante con un album che riesca a concentrare e spiegare, comunicare all’ascoltatore la musica e la filosofia che ha mosso il tutto. I quattro Accabbadora e alcuni ospiti, una seconda chitarra e un flautista, creano questo amalgama che serpeggia attraverso una narrazione fatta di leggende e storie, ma soprattutto di un clima che denota una melodia arcaica e solenne, epica e ancestrale che avvolge l’ascoltatore. Il black metal è liscio, scorre snello e senza troppa oppressione e grigiore: il merito di Accabbadora è appunto la fluidità compositiva e quella esecutiva che rende “De Sanguni Tintu” qualcosa che sa di folk-epic metal. Un album del genere piacerebbe a un pubblico vasto. Blacksters, defenders, pagans, tutti potrebbero beneficiare delle trame proposte da Accabbaddora e Fabrizio Sanna (ospite come seconda chitarra e cori).
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10