(Pure Prog Records) Le note promozionali di “Opus”, il quarto capolavoro degli Adramelch, mi dicono che la band ha deciso di sciogliersi definitivamente. Non ho trovato riscontro altrove sul web, ma la fonte mi sembra decisamente affidabile: e allora non posso che dispiacermi profondamente nel vedere una delle più meritevoli formazioni italiane di sempre decidere di gettare la spugna. Io ho amato principalmente i primi due full-length, il meraviglioso “Irae Melanox” e l’evocativo “Broken History”, ma il nuovo corso intrapreso con “Lights from Oblivion” non mi è certo dispiaciuto (come dimostro QUI e QUI)… “Opus” non è soltanto il coronamento di questa seconda fase, ma anche la definitiva maturazione della prima: che sia uno dei brani del 1987 o una canzone del 2015, dopo dieci secondi ti accorgi che sono gli Adramelch. “Black Mirror”, la opener, testimonia come dicevo che la direzione intrapresa con “Lights” è quella giusta: un prog rock/metal fatto di toni adulti, giri complessi ma sempre melodici, e pervaso da un’aura potentemente epica, che si evidenzia soprattutto nello splendido pattern strumentale. Antica e magica la linea portante di “Long live the Son”, un brano che al secondo ascolto mi ha messo i brividi per la sua maestosa solennità; “Pride” è invece un pezzo dalle molte anime, che passa senza problemi da momenti acustici, con un Vittorio Ballerio in stato di grazia, a fraseggi da prog rock fine anni ’70. Nei chiaroscuri di “Northern Lights”, Ballerio duetta con la charmante voce di Simona Aileen Pala degli Holy Shire; matura e maestosa “Only by Pain”, forse il pezzo più puramente progressive, con uno dei rari refrain ‘semplici’ del disco. Triste e nostalgica “A neverending Rise”; la più lenta e meditata “Fate” è sicuramente uno dei picchi del full-length, ed è capace di avvolgere l’ascoltatore in un cono di emozioni contrastanti. Dopo il meraviglioso strumentale “Ostinato” è il momento di una power ballad incredibilmente evocativa, con sprazzi di epic metal purissimo incastonati qui e lì come gemme: si tratta di “As the Shadows fall”. Altra maestosità nei cori della fluviale “Forgotten Words”; il viaggio si conclude con le trame sognanti di “Trodden Doll” e con “Where do I belong”, ancora una volta resa eccellente dalle capacità canore di Ballerio. Il fatto che abbia citato tutti e dodici i brani in scaletta, cosa che non faccio mai, dovrebbe testimoniare chiaramente quanto questo instant classic mi abbia colpito. Se gli Adramelch se ne vanno sul serio, perderemo senza ombra di dubbio una (pochissime) delle glorie senza tempo del metallo made in Italy.
(René Urkus) Voto: 9/10