(Revalve Records) Symphonic metal dalle terre del padovano, quello degli Afterlife. Il poetico titolo di questo debut album rimarca appunto l’aggettivo sinfonico, ma esclude la natura progressive, e direi anche gothic, che si palesa nelle composizioni. Un progressive per nulla estremo o chiuso in forme complesse, anzi è il dinamismo del songwriting a mettere in evidenza questa caratteristica. Gli Afterlife hanno al microfono Anna Giusto, una voce delicata, dai toni alti e che in alcuni momenti mi ha ricordato qualcosa della Anneke van Giersbergen degli esordi. Tuttavia la sua prestazione va in crescendo all’interno dell’album, non si impone immediatamente. Le sonorità sono comunque robuste, le distorsioni delle chitarre fanno valere il loro peso specifico e non meno il loro tessuto compositivo. Dietro di loro o nei diretti contorni ecco palesarsi il lavoro sinfonico dei tasti di Stefano Tiso, bravo a fornire la giusta solennità e ampiezza alle melodie. I dodici brani offrono minutaggi tra gli oltre 4′ e i 6′, con due esempi da oltre 7′ e 8′. Il primo ha un inizio molto evocativo, il resto è uno svolgersi sinuoso, un tappeto melodico che scivola con grazia. Il secondo pezzo, quello da 8′, “The Time Beyond the Fog,” vede una buona armonia tra pianoforte e tastiere che apre la composizione, di seguito voce e chitarre entrano d’impatto e con un pathos molto marcato, ma senza rinunciare a diverse variazioni, melodiche e strutturali. Sono queste le due composizioni più “audaci” per rapporto durata e struttura. Il resto dei pezzi è un duello tra fasi melodiche, tappeti sinfonici, e chitarre che ruggiscono di continuo e mettendosi sempre avanti rispetto al taglio orchestrale. La cosa è stuzzicante perché in fin dei conti al giorno d’oggi nel metal sinfonico troppo spesso le sei corde restano dietro a tutto il resto. Va però considerata anche una minore capacità di Eddy Talpo, responsabile delle sei corde, di essere più incline in alcuni passaggi a soluzioni più melodiche e scorrevoli. Insomma, le sue chitarre sono sempre sfrontatamente metal, toste, quando a volte potrebbero più appoggiare le melodie. Il tessuto ritmico è in continuo fermento, sia per basso che per batteria, e quest’ultima sa anche essere partecipe con buone soluzioni. Non mi ha convinto la produzione: non mi aspetto da un debut album una forma sonora alla Epica o Avantasia (due band che tiro fuori a caso), ma il suono della batteria a volte non mi è parso nitido, chiaro (vedi la cassa) e anche le chitarre hanno una patina ruvida che contrasta con la voce e la lucentezza delle tastiere. Tuttavia ho ascoltato in passato delle ardite registrazioni symphonic metal che massacravano letteralmente il genere. La qualità migliore degli Afterlife è che hanno delle qualità, ma si lanciano in un genere che richiede una certa perfezione che al momento non è compiuta, complice anche i 64′ totali che forse potevano essere accorciati. Gli Afterlife comunque sono una vera promessa.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10