(Napalm Records) Poche cose nel mondo sono più lente e pesanti degli Ahab e del loro nautical doom metal: per il loro quarto album, i tedeschi si ispirano (come da tradizione) a un racconto di horror ‘marino’ dei primi del ’900, e raggiungono senza dubbio il proprio picco compositivo. Le composizioni di “The Boats of the Glen Carrig” sono così ben fatte ed estreme che catturano anche chi il doom non lo mastica proprio… Circa dieci minuti per “The Isle”: due minuti algidamente acustici di intro, poi parte il mastodontico riff portante… e di nuovo l’incantesimo si rinnova: l’ascoltatore viene preso dalle onde del mare, rappresentate dall’alternanza di parti elettriche pesantissime e dolci momenti acustici, in cui si ha proprio l’impressione di affondare e di non avere più aria nei polmoni, mentre tutto si fa assurdamente tranquillo… Più o meno sullo stesso schema “The Thing that made search”, ma in questo caso i passaggi slow iniziali richiamano, senza se e senza ma, addirittura i Pink Floyd… ‘solo’ sei minuti e mezzo per “Red Foam (The great Storm)”, il brano più violento, più assillante, più ansiogeno, più, per certi versi, alla Candlemass. Quindici minuti esatti, invece, per “The Weedmen”: la voce di Daniel Droste si fa un lamento ancestrale, le chitarre assumono toni maestosi, il drumming è violento e i piatti onnipresenti: doom elegiaco, di straordinario spessore. Si chiude con i quattordici minuti di “The mourn Job”: i toni all’inizio sono registrati molto bassi, in modo da essere quasi inascoltabili, poi esplodono insieme rabbia e follia. Si torna poi a una fase quieta e raggelante, cui segue un ultimo episodio di pesantissimo death/doom classico. E che dire della fantastica quanto inquietante copertina? Difficilmente i nostri potranno fare mai meglio di così. Come già accaduto per i dischi precedenti, le versioni digipack e vinile contengono una canzone in più.
(René Urkus) Voto: 8/10