(Indisciplinarian) A meno di due anni dal debutto omonimo (recensione qui) tornano con potenza e prepotenza i blackened doomsters danesi Alkymist… e già con la possente opener “Oethon” rivelano quell’oscurità dannata, pregna di malinconia, celebrata da melodie superlative e sferzata dalle urla rabbiose del grandioso vocalist, il quale è capace di un growl tuonante e granitico ma anche un clean inquietante e bruciato dalle fiamme dell’inferno. Massacrante il riff di “The Dead”, un riff che viene dal basso, dagli inferi, a supporto di un brano dalle imponenti varianti progressive amplificate da aperture verso arpeggi maliosi e suggestivi. Parentesi dal gusto horror rock con “S.O.Y.”, furia cieca con una forte stretta di mano al death metal sulla guerrafondaia “Draugr”, un brano che evidenza linee di basso vigorose (un dettaglio che emerge in tutto il disco), un brano che guarda lontano, che viaggia verso un rock classico violentato da ritmiche estreme… o verso ritmiche spaccasassi addolcite da chitarre senza tempo. Malinconica “Desolated Sky”: una impostazione gotica, tetra, depressa che tutto ad un tratto esplode con un fragore assordate, tornado al growl lacerante il quale poi sovrasta melodie dal gusto perverso. “Astral Haze” diffonde suoni psichedelici, siderali e vicini al noise… e quando il blackened doom emerge, rimane sempre quel senso di minaccia, evidenziato dall’alternanza vocale azzeccata, dagli arpeggi che accompagnano la voce tuonante, gli improvvisi ma ideali cambi di scena del brano, la chitarra isterica ed il finale nostalgico. Dinamici. Originali. Personali. Dettagli che spaziano dal rock settantiano a death e black metal, strizzando l’occhio anche a teorie elettroniche di varia origine. Doom reinventato, ricreato con nuovo punto zero esposto con scenografie taglienti, telluriche, violente e brutali immerse in un’aura di suprema bellezza sonora influenzata da una intima delicatezza spirituale.
(Luca Zakk) Voto: 9/10