(Innerstrength Records) Ok, forse sono di parte. Mi sono innamorato degli Almost Dead a fine 2021, quando questi quattro pazzoidi californiani hanno portato il loro death metal bay area nel cuore di un evento black metal, ovvero il Black Winter Fest XIII (qui). Esplosivi sul palco, tecnici ma brutali, lontanissimi da qualsiasi concetto di apparenza o immagine (basta pensare al look di una death metal band e confrontarla con la perfezione estetica delle altre band di quella serata, gente come Batushka o Belphegor), gli Almost Dead, capitanati dal vocalist e fondatore Tony Rolandelli, sono in giro ormai da oltre un ventennio, con un debutto risalente al 2007 al quale hanno fatto seguito -questo compreso- ben cinque altri album. Rispetto alla produzione precedente, in particolare a “Brutal Onslaught” del 2021, la band è cresciuta, rendendo più raffinato quel death metal, il quale qui è forse meno schietto, meno ovvio, meno rocambolesco, più meditato, arricchito da varianti e accenti tutt’altro che prevedibili. C’è il death, c’è il thrash, c’è il groove, ci sono tracce black e troviamo anche degli spunti molto remotamente sinfonici capaci di rendere l’esperienza più… avventurosa, come evidenza la openr “Warheads In The Sky”. Brutale e disperata “Commandments Of Coercion”, mentre capitoli come “Eight Eyes Black” fanno pensare ai Pantera, ma portano alla mente anche sonorità tipicamente svedesi. Dal vivo pezzi come “Nightmare Coming” possono essere letali, cosa che vale anche per “Within The Ashes”, una traccia con una certa ricercatezza tecnica, virtuosa e teatrale. “Agent Of Chaos” dentro la sua atmosfera inquietante ed il suo incedere tuonante, regala un break down semplicemente immenso. Poco amichevole “Brutal Devotion”, epica “Selfish Suicide”… con un altro esempio di ritmica spacca vertebre, mentre è impossibile non pensare al black metal con la conclusiva “Where Sinners Cry”, confermando il fatto che gli Almost Dead -se vogliono- non si fanno rinchiudere dentro alcun recinto stilistico predeterminato. Riff ricercati. Una potenza sonora devastante. Divagazioni intelligenti, pungenti, impattanti, spesso imprevedibili. “Destruction is All We Know” è praticamente un camion che ci riversa addosso il suo carico di rottami di metallo, schiacciandoci, frantumandoci, seppellendoci in un frastuono assordante. Ma quei rottami non sono pezzi di ferro arrugginiti, sono metalli pregiati, pezzi ben torniti, ben costruiti, concepiti per massacrarci con stile, con tecnica, con destabilizzante purezza!
(Luca Zakk) Voto: 9/10