(High Roller Records) A volte basta incredibilmente poco per fare un grande disco: segno che certo heavy metal è davvero immortale. Gli svedesi Ambush, che si erano fatti conoscere un annetto fa con un singolo (recensito QUI), tornano alla carica con un debut nato per il vinile e per i defenders che non si sono mai arresi. Il discorso è sempre quello: di questi prodotti vintage ce ne sono ormai a migliaia (a dire il vero qualcuno in meno rispetto al biennio scorso), cosa distingue un capolavoro da un prodotto mediocre? Chiamatela come volete: l’attitudine, la scintilla, il ‘quid’ che fa la differenza… qualunque cosa sia, gli Ambush ce l’hanno! La titletrack suona come gli Enforcer (vedasi il mini-refrain muscolare) che incontrano i Tygers of Pan Tang più ruvidi, la traccia autotitolata come gli Steelwing che corteggiano i Priest di metà anni ’80 dopo essere passati a trovare gli Stallion: neanche otto minuti di musica e sono già in estasi. “Don’t shoot (Let’em burn)” ha davvero qualcosa dei primissimi Virgin Steele, quelli dell’era Starr (e non lo direi se non lo credessi, dato che se rarissimamente ho posto paragoni con la band di DeFeis); irresistibile anche il refrain di “Molotov Cocktail”, composta nel 1984 assieme al suo riff assassino. Senza tempo anche il giro di “Heading East” (già presente sul 7’’ assieme alla conclusiva “Natural Born Killers”), mentre il necessario rallentamento, che in apertura tocca tonalità quasi doom, è affidato a “Master of Pain”. Ambush: un nome che gli old school metallers impareranno a conoscere bene!
(Renato de Filippis) Voto: 8/10