(Neurot Rec.) Purtroppo la concreta sensazione di ascoltare sempre la stessa melodia, la stessa struttura melodica, lo stesso incedere degli accordi dei temi portanti, è fin troppo evidente. Otto pezzi, ma di fatto quattro visto che “Edelkroone” non arriva a trenta secondi e “Spijt” a due minuti, sui quaranta totali vissuti nella tristezza, l’angoscia, la mesta atmosfera del ricordo e di una sacralità melodica roboante. La durezza del riffing, la sua pesantezza, le venature che diventano melodie principali, la batteria lenta e calibrata in sequenze mai estreme. Tutto questo è la dimensione sonora della band belga. Un viaggio attraverso qualcosa. In questo nuovo album, appunto il sesto di una comunque nutrita discografia, nel quale la formazione di Kortrijk usa l’inglese, il francese e l’olandese (nella regione belga delle Fiandre si parla il fiammingo che è un dialetto olandese) come idiomi per esprimere i propri pensieri esistenziali. Decadenza, desiderio, preoccupazione, per musica che avanza, ma a tratti con fatica, dominata da low e mid tempo, riff doom o sludge che possano essere. Un bianco e nero emotivo scandito con accurata lentezza. L’atmosfera generale è post, è oltre, è dopo qualcosa che resta un monito ripetuto sempre e ovunque nelle pieghe dei pezzi. Un incedere funereo, falsamente maestoso, forse straziante perché la musica monta e di pari passo il pathos. Si ha la sensazione che qualcosa stia per accadere nei pezzi e invece quelle sequenze di note udite all’inizio dei pezzi, non fanno altro che ripetersi nel corso di essi attraverso alti e bassi. Nulla accade e tutto lascia credere che potrebbe essere il contrario, ma non lo è.
(Alberto Vitale) Voto: 6/10