(HPS – Heavy Psych Sounds Records) Anni ’70 pesantissimi, decadenti… ma anche brillanti, intensi, ritmici, melodici. Questi sono gli statunitensi Ape Machine, un quartetto di Portland che si abbandona ad un blues-doom, un po’ stoner, un po’ psichedelico, decisamente atmosferico. Sei tracce magnetiche, intense, immortali, ricche di un sound sporco ed un vocalist squillante e coinvolgente, mentre là sotto, nella nebbia, c’è una granitica sessione ritmica micidiale la quale crea linee di basso palpitanti su un drumming ricco di groove. L’originalità non è il core business degli Ape Machine -anche se c’è una assoluta garanzia di coinvolgimento e divertimento- in quanto si punta tanto ad una certa tecnica, ad una creatività esecutiva (sembra tutto in presa diretta, quasi live!), libera da vincoli o pregiudizi discografici. Catchy, agitata, pungente “Crushed From Within”, piena di obiettivi virtuosi “Disband”, specie per quanto riguarda la chitarra ed il basso. Sabbathiana “Give What You Get”, ed anche “Under This Face”, la quale però apre parentesi ricce di un viaggio fantastico assolutamente trans-stilistico, rivelando che forse proprio l’apertura mentale è la vera originalità della band. Musica al cubo e a trecentosessanta gradi con la superlativa “Ape’n’Stein” (anche il titolo è geniale!) mentre la conclusiva “Never My Way” è lenta, riflessiva, decadente, fumosa… e pessimistica ma in una dimensione luminosa e cristallina. Viaggio senza confini tra stili classici, mode antiche e sonorità immortali. Ape Machine riporta in vita cose apparentemente morte, stanche o poco seguite. Cose che tornano in vita rinnovate, energizzate, pompate, esaltate… in grado di esibire una nuova ritrovata accecante bellezza.
(Luca Zakk) Voto: 8/10