(Debemur Morti Productions) Da sempre sulfurei e blasfemi, gli Archgoat risorgono dalle lande finniche con il loro quarto album. L’opener che segue l’intro, cioè “Jesus Christ Father of Lies” mostra immediatamente i primi esempi d’intrecci tra death, black e grindcore, evidenziati dalla complicità della voce gutturale di Lord Angelslayer. Brano esemplare, con un po’ di mestiere ma con grandi assoli. Il sound è bastardo, tenebroso quanto un death estremo e in commistione col diavolo, black quanto possa esserlo il genere se prodotto in un luogo remoto dell’inferno. La maestria degli Archgoat è non solo quella di sapere abbinare i due generi summenzionati, ma anche la capacità di tinteggiare in modo perverso le atmosfere. “The Messiah of the Pigs” è un black metal della prima maniera, cioè roba sparata a mille in maniera ruvida. Dal punto di vista della composizione la band non inventa assolutamente nulla, con le parti veloci sprigionate in una maniera grezza e sfacciata, gli assalti che combinano il thrash metal e addirittura l’hardcore (“The Darkness Has Returned”) con quel clima da blasfemia anticristiana che trasuda in ogni nota. Sempre in fatto di velocità primeggia anche “The Luciferian Crown”, canzone tuttavia preceduta e seguita da due pezzi in low e mid tempo, rispettivamente “The Obsidian Flame” e “I am Lucifer’s Temple”. I truci finlandesi sono stati ancora una volta capaci di creare un connubio tra estremismo sonoro, oscurità e malvagità. Lo hanno fatto rimanendo fedeli a una produzione tenebrosa, ammantata di una patina ruvida, ma non tale da compromettere alcune soluzioni, anche individuali, che indicano quanto la band sappia essere maestra sotto quella scorza di zolfo rappreso.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10