(The Orchard / Sony) I brasiliani hanno pubblicato autonomamente questo album nell’ottobre dello scorso anno. Questa versione ‘deluxe’ comprende tre bonus: “Skydriver of the Light”, “Ragnarok in versione unplugged e “Animal Uncaged” in versione dal vivo. La pubblicazione rilancia la band carioca all’attenzione del popolo metal che, non chissà cosa abbia pensato dei ragazzi di San Paolo. In redazione c’è anche stato un dibattito su “Viking Zombie”, che lo ha visto perdente. La reputazione dei brasiliani è quella di essere una power/viking metal band. Eppure “Viking Zombie” riversa sull’ascoltatore qualcosa distante dai suddetti stili metal, con tratti soft, tendenze pericolosamente pop, oppure derivanti da cose alternative metal o pseudo symphonic. L’opener “Ragnarok” si apre con un temporale e i rintocchi di campana, rotti dall’epico «My Friend, my brother, till Ragnarok!» di Eduardo Parras, che farà pure power metal, ma il seguito assolutamente no. Pochi i momenti dannatamente heavy o power metal (“The Eyes of the Wolves” su tutte) e hanno anche la colpa di risultare annacquati. Una buona parte della responsabilità è ascrivibile alla composizione e strutture dei pezzi, dunque a tutta la band. Alle tastiere di Rafael Agostino, francamente spesso inadatte per il metal e soporattutto per i suoni, ed esageratamente di tipo cinematic a volte. Inoltre a ritornelli e strofe che non sono adatte né all’heavy, né al power, ma perfette per un alternative metal catchy (si ascolti la graziosa “Drowning”), da parte di un cantante che in questo contesto non incide. Gli Armored Dawn sembrano fare qualcosa come i Lordi – chitarroni con linee vocali melodiche e tastiere – ma con la differenza che i brasiliani non hanno quella vena ironica. In loro è tutto molto serio, sentito, con un pathos esposto al massimo, ma gli effetti sperati non sono all’altezza. Troppi pezzi hanno chitarre pesanti, distorte, ma in definitiva non è quella genuina categoria metal. A questo punto c’è da capire perché si sia fatto l’errore della AFM, che annunciava la band come power metal nel precedente e secondo album, QUI recensito, e che già aveva suscitato oggettive perplessità. Perché la The Orchard e consociata Sony, puntano su un’immagine viking metal per questa band? Li assecondano o cosa? Si sentono dei pezzi carichi di groove ma dai toni spesso sbarazzini – alla Metallica o Alter Bridge e cose del genere, si ascolti pure “Fire in Flames” – allo stesso tempo gioca un modo di cantare, abbinato a certi tipi di cori, ritornelli musicalmente piallati da un manto catchy e innesti di un’elettronica flebile, che mettono l’ascoltatore di fronte a ben altro rispetto a quanto l’orizzonte d’attesa lascia presagire. Insomma, qui c’è un grosso equivoco, oppure c’è una voluta ambiguità di fondo. Se è la prima cosa, pazienza! Magari con un buon produttore la band ne gioverebbe. Se è la seconda, allora “Viking Zombie” potrebbe essere del discreto metal mainstream. Roba da radio e per qualche classifica.
(Alberto Vitale) Voto: 5/10