copatrocity

(Napalm Records) “Okkult” è la prova del fuoco degli Atrocity. Il precedente “After the Storm” è stato da molti trattato (e a mio parere ingiustamente) con freddezza e ancor prima “Werk 80 II” ha incassato anch’esso la sua buona dose di perplessità. Gli Atrocity sono sempre stati stilisticamente mutevoli nel tempo. Quando ho avviato l’ascolto di “Okkult” con l’opener “Pandaemonium”, sapevo che il clima da elegie folk e acustiche (rafforzate dalla meravigliosa vocalità di Yasmine Krull, sorellastra di Alex) del precedente lavoro, non le avrei potute riascoltare in questa sede. In effetti la propensione di “Okkult” è quella di un thrash/death metal ancorato ad uno stile diretto al symphonic metal. Tradotto in soldoni, è un insieme di riff poderosi, a volte veloci e spediti, degnamente death metal, e a volte più modulari, per nulla brutali, sicuramente potenti e scolpiti con definizione. Una situazione che insieme al discorso ritmico mi ha ricordato qualcosa dei Therion e forse anche dei Rotting Christ e magari degli Ex Deo. Capita la direzione attuale di Krull e soci? In “Okkult” non c’è traccia di folk, industrial o velleità gothic o prog. Su questo scenario si aprono grossi e importanti momenti melodici, solenni, oscuri, marchiati da melodie degne di un colossal cinematografico, stile “Indiana Jones e il Tempio Maledetto”. Si l’immagine di copertina ben descrive il tocco nelle atmosfere dell’album, fatto di principi legati alla magia, posti misteriosi, miti e cose del genere. Le parti orchestrali sono state registrate a Minsk, in Bielorussia, con la Lingua Mortis Orchestra insieme alla conduzione di Victor Smolski (Rage), mentre l’ingegnere del suono è la canadese Katie Halliday, la stessa che ha lavorato a film come “Saw V”, “Saw VI”, “Saw 3D (VII)”. Trovano continuamente posto nei pezzi coriste che intonano melodie misteriosamente evocative o tenebrose, degne di un retaggio etnico e tribale, di culture ancestrali e che più di sembrare una grazia aggiunta a volte tendono ad essere un mero abbellimento. Trovo che La musica non sempre riesca ad essere ricca, nonostante si senta che nasca da evoluzioni degnamente radicate nei musicisti e nella loro storia artistica e compositiva. Intendo che l’attacco iniziale e lo sviluppo di “Masaya (Boca Del Infierno)” mostra gli Atrocity di sempre. Si apprezzano anche “Satans Braut”, con il piglio di un metal sicuramente più leggero, “Necromancy Divine” e la slayeriana “Death by Metal”, eppure l’album risulta scorrevole, da presa immediata. “Haunted by Demons” esibisce un riff classico, forse datato, di sicuro malleabile e posto lì per spezzare la pesantezza espressa fino alla precedente “March of the Undying”, con quella solennità operistica alla Therion. Non male alcuni assoli esibiti da Thorsten Bauer, anche bassista, e Sander van der Meer. “Okkult” è la prima parte di una trilogia e dunque sembra studiato, ragionato, legato ad un copione e stile da seguire, cioè gli Atrocity hanno deciso di suonare espressamente in questo modo per l’occasione. Gli ultimi cinque anni hanno visto tre album completamente diversi tra loro per stile e attitudine e un DVD, ma in questo nuovo lavoro però si assiste ad un recupero delle proprie radici, per stessa ammissione degli Atrocity, tracciando comunque nella musica nuovamente il solco del divenire e del non essere la solita band uguale a se stessa. E’ un’esigenza artistica? C’è stato il voler progredire con un pacchetto concettuale di storie? L’Alex Krull anche produttore di molte band e di Liv Kristine, sua moglie, ha trovato un nuovo piano di confronto? Cosa ha mosso gli Atrocity in questa direzione non posso saperlo. “Okkult” li spinge a proporre musica scorrevole, vagamente grandiosa per sonorità che vogliono essere maestose, pur non presentando novità o idee innovative.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10