(Nuclear Blast Records) So che il parere dei miei colleghi sarà pressoché unanime, ma a costo di essere l’unica voce fuori dal coro dirò: “Ghostlights” mi sembra l’album più debole degli Avantasia. Certo, stiamo parlando di una band che ci ha abituato a lavori eccellenti, ed è difficile mantenere gli incredibili livelli raggiunti con “Scarecrow” o con “Wicked Symphony”, ma stavolta Tobias Sammet si è un po’ risparmiato, e per andare sul sicuro ha composto questo nuovo disco di eccellenti ritagli, come il seguito della mia recensione tenta di dimostrare. Praticamente nessuna novità nei brani di “Ghostlights”, mentre finora era stato assai facile riconoscere la costante evoluzione del progetto: dal power ‘ingenuo’ della “Metal Opera”, alla potenza di “Scarecrow”, si era arrivati all’hard’n’heavy degli ultimi tre album, sempre più leggero e orientato a compiacere un pubblico più vasto possibile. Ecco, “Ghostlights” non si muove neanche un po’ dal punto in cui era arrivato “Mystery of Time”… e il livello del songwriting è abbastanza inferiore. Subito il singolo “Mystery of a Blood red Rose”, che tutti conosciamo: il giro portante ricorda molto quello di “Shelter from the Rain”, e la strofa ha qualcosa di “Runaway Train”, ma il ritornello è oggettivamente accattivante. Poi, come fu su “Scarecrow”, arriva la botta di dodici minuti: in “Let the Storm descend upon you” si alternano al microfono Tobi, l’immancabile Jorn Lande, Ronnie Atkins e Robert Mason. Un avvio abbastanza epico e tirato, poi si vira verso quell’arioso hard rock a venature power che ha caratterizzato le ultime uscite; il break slow è un po’ prevedibile, quasi telefonato, ma alla fine fa la sua bella figura. “The Haunting” ha un inizio praticamente identico a quello di “Death is just a Feeling”; il brano procede poi cadenzato e molto carico, con un assolo indovinato. Il riff della titletrack è veramente simile a quello di “Promised Land”, ma alla fine anche in questo caso il refrain convince, e Kiske è sempre Kiske… totalmente diversa dal resto della scaletta, ma in fondo riuscita, “Draconian Love”: anche grazie alla presenza di Herbie Langhans, ne esce fuori un brano dark gothic metal laccato e boombastico. “Master of the Pendulum” è resa da Marco Hietala molto aggressiva, ma fino al ritornello, totalmente slegato dal resto della canzone; anche qui colgo delle analogie molto forti con “Scales of Justice”, interpretata a suo tempo da Ripper Owens. Torna poi Sharon den Adel in “Isle of Evermore”, l’unico duetto di Tobi con una voce femminile… e in questo caso la canzone si avvicina alle atmosfere abbastanza moderne e di cassetta degli ultimi Within Temptation. Briosa e convincente “Babylon Vampires”, mentre “Lucifer” si fonda ancora una volta sulle capacità di Jorn Lande; la conclusione è naturalmente fluviale e quasi cinematografica con i cori di “A restless Heart and obsidian Skies”. Queste le mie conclusioni. Avantasia è ormai una macchina perfetta, e il prossimo tour sarà certamente un incredibile successo di pubblico; e se questo è il vostro primo approccio alla band, troverete magnifica la loro musica. Se nelle vostre orecchie, invece, risuonano ancora i vecchi dischi, credo condividerete le mie riserve.
(René Urkus) Voto: 7/10