(Steamhammer/Audioglobe) La storia è ben nota e ormai classica: una band seminale, inglese o tedesca, pubblica un paio di dischi all’inizio degli anni ’80, dischi che vengono ben apprezzati dal pubblico dell’epoca e lasciano intuire un radioso futuro… ma invece, improvvisamente, la band scompare. Non sa gestire l’improvviso successo, oppure questo successo si rivela un fuoco di paglia, o ancora manca l’interesse da parte di una etichetta blasonata… insomma, venti, venticinque, a volte anche trenta anni di silenzio. Poi arriva il 2008 e comincia il revival, la band viene contattata da qualche appassionato, il nome ricomincia a girare, arriva la richiesta di suonare al Keep it True o allo Swordbrohters, e di solito giunge infine la Pure Steel a offrire un nuovo contratto! Ecco, questo copione va benissimo per i britannici BattleAxe, con l’unica differenza che al posto della Pure Steel è arrivata addirittura la SPV! E come suona allora il disco del comeback, il terzo in studio per la formazione in questione? Anche in questo i BattleAxe si mantengono nella media: buono, ma non stellare… tanto che, alla fine della storia, viene da chiedersi quante di queste ‘resurrezioni’ fossero davvero necessarie. Di certo i BattleAxe sono nella metà ‘buona’, non si discute, ma… Inutile girarci attorno, la bella titletrack suona incredibilmente Saxon era “Dragonheart”: anche la somiglianza di timbro fra Bill Byford e Dave King contribuisce al richiamo, e non sarà l’unica volta nel corso del disco (“Hail to the King” ha il riff non simile, ma identico a quello di “Power and Glory”). Per cui, se amate i leoni albionici, state certi che non disprezzerete i Battleaxe! Brani ultraclassici e veloci di NWOBHM sono “Too hot for Hell” e “Rebel with a Cause”; “The Legions Unite” vira verso un metallo ancora più pesante, in classico stile Priest, mentre “Devil Calls”, brano già composto nel 2007, è già così tanto un inno live che inizia con gli applausi del pubblico! “Kingdom Come” ha un andamento più epico e battagliero prima della conclusiva e scanzonata “Romeo”, una scheggia che sconfina nell’hard rock genuino. 47 minuti di NWOBHM, godibili ma non indispensabili: in “Heavy Metal Sanctuary” onestamente non trovo altro.
(Renato de Filippis) Voto: 6,5/10