(Iron Bonehead) Ci sono giornate in cui maledici il mondo e vorresti vederlo bruciare. Giorni in cui tutti si fanno i maledetti fattacci propri e tu invece te ne vai a lavorare, ingabbiato nel meccanismo dei turni festivi… In questo tipo di giornate ti senti nero, incazzato e vorresti qualcuno al tuo fianco, ma anche triste, sconsolato, giù di morale e refrattario a ogni tipo di contatto umano. Il black metal, si sa, ha sempre avuto una doppia anima. Feroce, diretto, crudo e infernale da un lato; misantropo, glaciale, depresso e riflessivo dall’altro. I Black Cilice sembrano aver abbracciato alla lettera questa filosofia di vita. Perché di questo si tratta. Senza scomodare nomi troppo grossi, ormai inseriti dentro il rodato meccanismo del marketing, il Black Metal vero è e sarà per molti sempre e solo un fenomeno underground. Sottoterra si, e lì deve restarci, per non essere rovinato dalla visibilità e dalla notorietà del mondo della luce. Questo one man project portoghese nasce attorno al 2008 con una sconfinata serie di demo e split. Qui si parla della terza fatica su lunga distanza, in uscita su LP (ovviamente) per la tedesca Iron Bonehead. Sembra ci sia in Portogallo una vera e propria scuola Black Metal sotterranea, formata dai nostri e altri gruppi come Mons Veneris e Vetala. Intendiamoci, siamo di fronte alla classica release registrata nei più angusti e neri cunicoli di qualche ameno e vetusto castello lusitano, quindi il suono è quanto di più marcio e cacofonico si possa trovare in commercio, la copertina naturalmente in bianco e nero, quasi ad incarnare (non è un caso, quindi) la dicotomia poc’anzi esposta tra cattiveria e depressione. Veniamo ora al sodo. L’album comincia con “To Become”, traccia in cui gli strumenti si sovrappongono in modo oscuro e nero come la pece, seguendo i diktat del genere, con il risultato di un amalgama dal suono gutturale, reso ancora più alienante da una voce che si lamenta del mondo a grida più che a vocaboli. Il cantato infatti somiglia molto di più al latrato di un mastino ferito a morte che cerca un luogo tranquillo, magari il profondo di una foresta, dove passare gli ultimi minuti di vita. Tracce come “A Prayer for Beyond” e “From the Long Forgotten Past” mostrano mostrano deboli barlumi di una qualche melodia arcana, senza ovviamente dare troppo spazio all’ottimismo e alla positività di una speranza che l’atmosfera possa in qualche modo illuminarsi. In “The Truth” e “Cerimanial Energy” si possono riconoscere richiami ai Silencer (il cantato comunque differisce dall’impostazione vocale di Nattramn) e a Burzum di “War”, e tutto sommato non posso che confermare che un po’ dell’entroterra decadente e oscuro del Portogallo è andato a finire nei suoni di questa incisione. Ciò che realmente manca all’intero disco è una reale e genuina cattiveria estrema nell’estremo, che possa farlo emergere dalla moltitudine di pubblicazioni di questo genere che ultimamente affollano il mercato. In definitiva, niente di nuovo nel genere, ma in fondo per chi ragiona per sfumature di nero gli altri colori non esistono…
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 7/10