(High Roller Records) Dal 2006 a oggi i Black Oath si sono incamminati su un percorso, portandosi sempre più avanti nella qualità musicale proposta. Sacerdoti di un culto che si serve del dark, il doom, l’occult ed l’heavy metal, hanno scritto una nuova opera rituale dai tratti inquietanti. La band a suo modo è collocabile in quella tradizione italiana che ha visto molti esponenti cimentarsi con il metal di matrice sulfurea. Evitando comunque paragoni con icone quali Death SS, tanto per restare nei massimi livelli, i Black Oath rappresentano la concreta continuazione di quell’Italia musicale devota a certe tematiche. “Behold the Abyss” è un lavoro con qualche tratto sognante, proprio come le prime battute dell’opener e title track che inizia un incantesimo cantilenante e fluido. I brani hanno per la maggior parte dei casi un minutaggio imponente, proprio la title track ne è il massimo esempio con oltre nove minuti. Due sono le canzoni di cinque minuti e poco più rispetto alle sei totali. Si distingue “Once Death Sang” per via dell’introduzione della voce femminile, ma ogni capitolo di “Behold the Abyss” espone una saggia architettura. Le ampie strutture offrono ovviamente molte aperture, soluzioni, mutamenti che portano l’ascoltatore a non confrontarsi verso un totem, ma semmai un oscuro e articolato cerimoniale. Un atto quasi prog in alcuni frangenti? Possibile… Per chi scrive, la band appare forse più ‘pulita’ e misurata nelle composizioni rispetto al recente passato. Forse è l’effetto ‘nuovo album’, forse c’è del vero in questa impressione, niente però è fuori posto in “Behold the Abyss”.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10